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Ucraina, Donetsk. Fondata intorno al 1869 come colonia mineraria e industriale, venne ridenominata in Stalin nel 1924 e poi Stalino nel 1929, in onore di Iosif Stalin. L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica distrusse completamente la città e dopo la ricostruzione avvenuta nel dopoguerra essa abbandonò il nome di Stalino nel 1961 assumendo l’attuale nome di Donetsk, in onore del fiume Severskij Donec.

Nonostante la sua reputazione di città legata all’industria mineraria e metallurgica, Donetsk è una città verde e considerata una delle più belle città d’Ucraina con uno dei più alti standard di vita del paese. Ruolo fondamentale lo gioca anche il settore culturistico: due teatri, una sala filarmonica, due planetari e una decina di musei. La città è oggi un importante centro scientifico e culturale e grazie alla sua architettura è ricca di luoghi di interesse da visitare.

La città è sede di tre squadre calcistiche maschili, l’Olimpik Donetsk, il Metalurh Donetsk, una femminile, la Dončanka, e il famosissimo Shakhtar Donetsk che, in seguito al conflitto, si è spostata prima a Leopoli e poi a Kharkiv. Donetsk è dotata di due impianti sportivi: lo stadio Shkahtar, uno stadio all’aperto polivalente, e la Donbass Arena, impianto di calcio inaugurato nel 2009 e parzialmente danneggiato nel 2014 da due ordigni, esplosi a causa delle tensioni militari tra forze governative ucraine e miliziani filorussi.

Lo Shakhtar rappresenta l’orgoglio più grande della città, l’unica compagine a contrastare il dominio della Dinamo Kiev per quanto riguarda la visione del calcio ucraino fuori dai confini nazionali. Dall’ottobre del 1996 la società appartiene a Rinat Achmetov, un imprenditore, dirigente sportivo e magnate ucraino, presidente della System Capital Management, una delle imprese industriali leader nella finanza ucraina.

Sotto la sua gestione, lo Shakhtar ha avuto momenti di grande successo sia a livello nazionale che internazionale. Nel volgere di pochi anni realizzò corposi investimenti con lo scopo di migliorare le infrastrutture sportive e di allestire una squadra competitiva anche fuori dal contesto ucraino. Dall’avvento di Achmetov hanno vestito la maglia dello Shakhtar giocatori di valore internazionale, affermatisi anche in altri club europei. Per lo più sono stati tantissimi brasiliani a vestire questa casacca, e ancora oggi la tradizione continua.

Perché lo Shakhtar ha tanti brasiliani?

Lo Shakhtar Donetsk ha una tradizione di calciatori brasiliani iniziata nel 2002. La strategia della società non si fonda solo su ricche plusvalenze con le quali foraggia il bilancio e apre prospettive per il futuro. L’intera struttura si regge su alcuni capisaldi, a cominciare da un sistema di scouting molto vasto che fornisce al club una rete di relazioni, indagini, contatti, osservatori e dossier che accende i riflettori non sui diamanti grezzi ma su quei giocatori che nelle selezioni giovanili (in particolare U20) sono riusciti già a mettersi in evidenza.

Lo Shakhtar compra il talento, lo accoglie e lo fa sentire a casa, gli versa uno stipendio importante, lo mette al centro del palcoscenico, lo inserisce in un progetto tattico e tecnico che nasce da un’idea molto semplice (praticare un calcio attraente, fantasioso, coinvolgente), ed ecco che il diamante grezzo brasiliano fa faville.

A instaurare il primo organico brasiliano fu Mircea Lucescu. È lui che porta a Donetsk Joao Batista, Matuzalem, Jadson, Fernandinho ed ElanoLuiz Adriano, Willian e IlsinhoDouglas Costa, Alex Teixeira, Bernard, Marlos, Taison, Fred sono altri esempi di come lo Shakthar abbia saputo scovare e plasmare al meglio le proprie gemme rivendendole, poi, a prezzi triplicati. Alex Teixeira venne acquistato per 6 milioni di euro dal Vasco da Gama e nelle casse ne portò 50 con il passaggio allo Jiangsu Suning. Fred, prelevato dall’Internacional, costò 15 milioni ma venne venduto per 60 milioni al Manchester United. Fernandinho, pagato circa 7-8 milioni dall’Atlético Paranaense si trasferì al Manchester City per 40 milioni. I ricavi di queste vendite sono straordinari: parliamo di circa 235 milioni di euro e investimenti stimati per circa 60 milioni. Insomma, una sorta di miniera d’oro.

L’ascesa definitiva verso il grande calcio

Dopo cinque piazzamenti al secondo posto in campionato alle spalle proprio della Dinamo Kiev, nei primi anni 2000 il club iniziò ad arricchirsi di calciatori stranieri e nel 2000-2001 riuscì a qualificarsi alla fase a gironi di Champions League, dove chiuse al terzo posto nel proprio girone. Nella stagione 2001-2002, sotto la guida tecnica di Nevio Scala, lo Shakhtar si aggiudicò per la prima volta il campionato ucraino, abbinandolo al successo nella coppa nazionale, centrando una storica doppietta.

Dal maggio 2004, sotto la guida del romeno Mircea Lucescu, lo Shakhtar tornò a dominare la scena nazionale, vincendo tre campionati in quattro anni e il primo trofeo internazionale della propria storia, la Coppa UEFA, nel 2008-2009, sconfiggendo in finale il Werder Brema per 2-1 dopo i tempi supplementari. Sconfitto dall’invincibile Barcellona di Guardiola in Supercoppa Europea, lo Shakhtar rivinse il campionato nel 2009-2010 e un’altra storica doppietta campionato-coppa nazionale nel 2010-2011, annata in cui riuscì a centrare i quarti di finale di Champions League dopo aver vinto il girone. Negli anni successivi i “minatori” colsero altri tre successi in campionato, portando a cinque i titoli vinti consecutivamente, oltre ad aggiudicarsi varie volte la coppa e la supercoppa nazionale.

La guerra sul tavolo. Lo Shakhtar è costretto al trasloco. La fine dell’era Lucescu

A causa dei conflitti armati che da maggio 2014 interessarono l’Ucraina e la Repubblica Popolare di Donetsk, la squadra giocò i propri match casalinghi a Leopoli e dalle stagioni successive a Kharkiv, per via delle ribellioni filorusse nell’est del paese, conflitti che hanno provocato danneggiamenti anche alla meravigliosa Donbas Arena. Nel 2015-2016 la squadra, eliminata dalla Champions League, proseguì il cammino europeo in Europa League, dove arrivò in semifinale. La vittoria del mese successivo nella finale di coppa nazionale coincise con l’ultima partita come allenatore di Mircea Lucescu, che lasciò la panchina dopo aver vinto 22 trofei in 12 anni. Un tecnico che ha dato tanto a questa società sotto tutti i punti di vista e che ancora oggi è ricordato per tutto quello che ha fatto.

Se il club ha sempre scovato bene in ambito calciatori, bisogna dire che anche nel settore manageriale ha sempre indovinato la propria guida tecnica. Dopo l’epopea Lucescu, ecco l’arrivo di Paulo Fonseca che esordì vincendo la supercoppa nazionale, vinse tre campionati e anche tre coppe nazionali nelle successive tre stagioni. Nel 2019 arriva l’irrinunciabile chiamata della Roma, e lo Shakhtar lo sostituisce con Luis Castro, allenatore che in passato ha allenato anche la squadra B del Porto. In due anni si aggiudicò un titolo nazionale e condusse la squadra alle semifinali di Europa League, perse poi contro l’Inter.

L’inizio dell’era De Zerbi

Roberto De Zerbi è il secondo italiano nella storia del club dopo Nevio Scala ad allenare lo Shakhtar Donetsk. L’ex tecnico del Sassuolo si è già messo in tasca una Supercoppa d’Ucraina battendo per 3-0 la Dinamo Kiev e, complice anche la drammatica situazione che il popolo ucraino sta vivendo, ha lasciato la sua squadra al comando della classifica del campionato con 47 punti, a +2 sulla Dinamo Kiev inseguitrice. Non fortunata, invece, l’avventura europea, ma il suo Shakhtar proverà sicuramente a riscattarsi e a far parlare di sé come fatto negli anni precedenti sotto le guide di Lucescu e Luis Castro.

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