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Lo studio sulle tre sequenze genetiche del virus in circolazione in Lombardia conferma un’ipotesi degli scienziati: il virus potrebbe essere entrato nel Paese ancora prima del blocco dei voli dalla Cina

Lo studio sulle tre sequenze genetiche del virus in circolazione in Lombardia, ottenute dal gruppo di Università Statale di Milano e Ospedale Sacco, coordinato da Gianguglielmo Zehender, Claudia Balotta e Massimo Galli, ha confermato quel che i medici sospettavano da tempo: il coronavirus circolava in Italia diverse settimane prima che ci fosse la diagnosi del paziente 1 a Codogno. (Qui il pezzo di Sandro Modeo che spiega l’origine del Coronavirus, dai pipistrelli all’uomo)

Più dettagli dagli studi in corso

L’analisi di ulteriori genomi, in corso, potrà fornire stime più precise su ingresso del virus in Italia e sulle possibili vie di diffusione, visto che l’indagine epidemiologica non è riuscita a risalire alla catena dei contagi per arrivare al paziente 0, evidentemente proprio perché il virus era già nel nostro Paese, ma non veniva rilevato anche perché i tamponi venivano fatti solo a persone provenienti dalla Cina o che avessero avuto contatti diretti con positivi.

L’arrivo in Italia

Massimo Galli ( direttore malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano) al Corriere aveva dichiarato: «Il virus è “sfuggito” prima ancora della misura di chiusura dei voli dalla Cina. È verosimile che qualcuno, arrivato in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita più o meno normalmente e ha così potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone. Se l’avessimo fermato alla frontiera avremmo anche potuto non renderci conto della sua situazione».

In Italia prima del blocco voli dalla Cina

I dati per arrivare a questa considerazione erano stati i tanti quadri clinici gravi e tutti assieme del focolaio di Codogno che «fanno pensare che l’infezione abbia iniziato a diffondersi nella cosiddetta zona rossa da abbastanza tempo. Forse è arrivata addirittura prima che fossero sospesi i voli diretti da Wuhan. È verosimile che i ricoverati negli ultimi giorni si siano contagiati da due a quattro settimane fa per poi sviluppare progressivamente i sintomi respiratori in base ai quali molti hanno avuto necessità di ricorrere a procedure intensive», affermava Galli. Ci siamo ammalati per primi in Europa, ne usciremo per primi? «Io spero proprio di sì. Anche per il grosso lavoro che è stato fatto e che è molto valido. È un sacrificio ma nella giusta direzione», conclude l’esperto.

Nessuno lo aveva cercato

«I numeri che vediamo oggi sono i contagi di 10 giorni fa, quando erroneamente pensavamo che il coronavirus non ci fosse anche perché ancora nessuno lo aveva cercato, nessuno immaginava che fosse già arrivato nel nostro Paese e nessuna restrizione era stata messa in atto. La verità è che il trend è ancora in crescita. Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni», ha affermato Roberto Burion, virologo dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Polmoniti anomale nel lodigiano da gennaio

Precedentemente un altro studio dello stesso team aveva scoperto che il coronavirus era nato in Cina già a ottobre-novembre, alcune settimane prima quindi rispetto ai primi casi di polmonite anomale identificati e segnalati dal “medico eroe”, Li Wenliang, morto in Cina per il virus. E ricordiamo che nel lodigiano, dopo l’esplosione dell’emergenza tra Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo, i sanitari hanno ricollegato tra loro decine di pazienti, non solo anziani, che da metà gennaio erano stati colpiti da “strane polmoniti”. «È vero, quest’inverno c’è stata un’impennata di forme polmonari a lunghissima durata, già da dicembre», riferisce all’Ansa Massimo Vajani, presidente dell’ordine dei medici di Lodi.

Fonte: www.corriere.it

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