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Le recenti elezioni del Parlamento Europeo, tenutesi l’8 e 9 giugno, hanno visto una schiacciante vittoria dell’assenteismo in Italia. Con solo il 49,69% degli elettori che si è recato alle urne, meno di un italiano su due ha espresso il proprio voto. Questo dato non solo sottolinea una crisi di partecipazione democratica, ma ha anche implicazioni significative per l’interpretazione dei risultati elettorali. Prendiamo, ad esempio, il caso di Fratelli d’Italia, che ha ottenuto il 28,8% dei voti. Questa percentuale, apparentemente alta, rappresenta in realtà solo il 28,8% di quel 49,69% di votanti. Tradotto in numeri reali, significa che circa il 13% dell’intero elettorato ha scelto questo partito. Questo scenario si applica a tutti i partiti in lizza, dimostrando che nessuno di essi ha ricevuto un supporto schiacciante dalla popolazione complessiva. Un altro aspetto rilevante delle elezioni è la differenza di voti tra gli under 30 e gli over 30, evidenziando una chiara spaccatura generazionale nella visione del futuro dell’Europa. I giovani elettori, in particolare, hanno espresso una preferenza marcata per un’Europa più attenta all’ambiente e ai diritti civili. Infatti, il 40% degli studenti fuori sede ha votato per Alleanza Verde e Sinistra, sottolineando la loro richiesta di politiche più progressive e sostenibili. Quindi, possiamo davvero dire che ha vinto il partito più amato dagli italiani? Alla luce dei dati, sembra evidente che l’alto tasso di astensione getta una lunga ombra sui risultati. La bassa affluenza suggerisce un crescente disinteresse o una profonda disillusione verso la politica tradizionale. Va anche sottolineato come il maggior tasso di assenteismo si sia registrato al meridione e nelle isole, toccando la quota minima del 40% in Sardegna.

Prima di accusare la popolazione, però, cerchiamo di comprendere le loro motivazioni. Gli italiani meridionali e insulari, infatti, sicuramente credono meno nella politica, rispetto agli italiani settentrionali e non per scarsità di senso civico, ma perchè negli anni questa fetta di Italia è stata decisamente più vessata e ha ricevuto meno aiuti rispetto al nord. Guardiamo ai fatti. Le disparità tra Nord e Sud Italia sono una questione annosa che continua a influenzare negativamente il Mezzogiorno, relegandolo a un costante stato di arretratezza rispetto al Settentrione. Questo divario si manifesta in vari ambiti, tra cui la salute, l’istruzione e i servizi per l’infanzia, ed è esacerbato dalla distribuzione iniqua delle sovvenzioni statali che favoriscono il Nord. Secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile), il Sud Italia presenta le peggiori condizioni di salute nel Paese.

Nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini del Mezzogiorno era di 81,7 anni, inferiore di 1,3 anni rispetto al Centro e al Nord-Ovest e di 1,5 anni rispetto al Nord-Est. Il tasso di mortalità infantile segue una tendenza simile: in Toscana, è di 1,8 decessi ogni 1.000 nati vivi, mentre in Sicilia sale a 3,3 e in Calabria raggiunge i 3,9. Questi dati evidenziano come i servizi di prevenzione e cura siano meno accessibili al Sud, dove la spesa pubblica sanitaria è inferiore e le distanze per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi, sono maggiori.Un ulteriore indicatore delle disparità è la copertura dei programmi di screening gratuiti per le donne di 50-69 anni, fondamentale per la prevenzione di malattie come il cancro al seno. Mentre al Nord l’80% delle donne partecipa a questi programmi e al Centro il 76%, al Sud la percentuale scende drasticamente al 58%. Questa carenza di prevenzione e cura spinge molti residenti del Mezzogiorno a cercare assistenza sanitaria al Centro e al Nord: nel 2022, il 44% dei 629 mila “migranti sanitari” proveniva dal Sud. La disparità non si limita alla salute, ma si estende anche ai servizi per l’infanzia, cruciali per lo sviluppo educativo e sociale dei bambini e per permettere alle madri di tornare al lavoro. In Italia, solo il 24,7% dei bambini tra 0 e 2 anni ha accesso ad asili nido o servizi integrativi per la prima infanzia, un dato significativamente inferiore all’obiettivo europeo.

Questa percentuale varia ampiamente tra le regioni, con un drastico calo nel Mezzogiorno. In Sicilia e Campania, ad esempio, meno del 10% dei bambini ha accesso a questi servizi, evidenziando una copertura ben al di sotto della media nazionale del 24,7%. Queste disparità strutturali sono il risultato di una politica nord-centrica che da anni tratta il Sud Italia come una colonia, destinando la maggior parte delle sovvenzioni e degli investimenti al Nord. Questa distribuzione iniqua non solo perpetua le condizioni di svantaggio del Mezzogiorno, ma ne condanna anche lo sviluppo futuro, impedendo di colmare il divario con il resto del Paese. Per correggere questa situazione, è essenziale un ripensamento delle politiche di allocazione delle risorse, mirato a un riequilibrio degli investimenti che permetta al Sud di svilupparsi in modo equo e sostenibile. Solo così si potrà garantire un benessere omogeneo su tutto il territorio nazionale, offrendo a tutti i cittadini italiani le stesse opportunità di salute, istruzione e crescita economica. Ma, ben lungi dal voler colmare un gap che ci trasciniamo dietro fin dall’Unità, la politica italiana sta lavorando per attuare l’autonomia differenziata che amplierà, in maniera esponenziale, queste differenze, favorendo le regioni più ricche e condannando quelle più povere, le colonie appunto. Lungi dall’essere un Paese realmente unito, questa piccola, grande Italia, sembra destinata a non abbracciarsi mai e la profonda spaccatura, causata da scelte pericolose, la vediamo nella risposta del popolo alla chiamata alle urne.

Per ora, dunque, vero vincitore, resta l’assenteismo, una testimonianza inquietante del distacco dei cittadini dal processo democratico, cittadini assenti ieri di fronte a uno Stato assente da troppo tempo nelle loro terre. Spetterà ai futuri governi e ai nuovi rappresentanti eletti trovare modi per riconquistare la fiducia e l’interesse degli elettori, soprattutto delle nuove generazioni, per assicurare una partecipazione più ampia e rappresentativa nelle prossime tornate elettorali.

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