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Il grande psicoanalista Massimo Recalcati tratta da tempo la questione della preghiera laica, anche e soprattutto in riferimento a ciò che viene definito per ogni individuo “il proprio peggio”. Ma la preghiera è anche per il proprio meglio o, per specificare bene, perché si allontani ciò che si prospetta essere contro il proprio meglio e il proprio bene. Sintomatiche, per tali considerazioni, sono state le immagini di Alexandra Saint Mleux, la fidanzata del campione di Formula 1 Charles Leclerc, che durante l’ultimo Gran Premio di Montecarlo ha stretto tra le mani un braccialetto portafortuna regalatole dal fidanzato. In molti vi hanno visto un gesto di “laica devozione”, altri quasi un momento di preghiera, pressando con le dita i grani sferici del braccialetto a mo’ di Rosario durante la grande sfida del pilota. E’ certo che l’inconscio spesso, nei momenti critici, quasi sfida la ragione, duellando con essa nell’atavica ricerca da parte dell’individuo di un equilibrio, proprio nei passaggi di vita ove tale equilibrio viene messo più in crisi. Grande alleato in questi frangenti è un anelare a essenze, a grandezze esterne, create dall’uomo e da questi recepite, e il braccialetto forse in quel momento ha iniziato a fungere da portafortuna, da rimando a tali grandezze, mediando e conciliando tra loro e con loro. I dinamismi interni dell’uomo che supportano i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti, hanno da sempre iniziato a ricercare un hotspot cui collegarsi, o quantomeno con cui confrontarsi. L’etimo di “pregare” proviene da “precari”, e prevede “l’atto di raccordarsi ai Numi” assumendo varie posizioni con il corpo. Ma negli ultimi tempi, facendo proprio il concetto di laicità, la preghiera ha assunto anche un’accezione che fa riferimento ad un raccordarsi con ciò che l’uomo ha dentro di sé, piuttosto che con forze esterne. Non più un “re-ligo”, un collegarsi con qualcosa o qualcuno ad extra, ma cercare uno spazio speciale in se stessi, ove sentirsi accolti, rafforzati, protetti. Il filosofo Norberto Bobbio definisce, in una sua corrispondenza epistolare, la preghiera come “apertura verso il mistero che ci avvolge”, ora non si sa se “il mistero è intorno a noi o è dentro di noi”, ma poi stupisce scrivendo che “La preghiera implica che ci sia qualcuno che ascolta. La preghiera non può essere soltanto riflessione interiore sul mio destino, sul male, sulla origine e la fine delle cose, una riflessione in cui nessuno mi ascolta, e che rivolgo soltanto a me stesso”. Ma a questo punto entrano in gioco i concetti di dolore e di sofferenza, che quasi spingono l’uomo ad una sorta di meditazione forzata che sublima ogni pensiero, ogni energia, ogni ampiezza e ogni grandezza di se stesso, che avvolgendolo, necessariamente lo trascendono, ma senza mai correlarlo, se non con il suo prossimo. Sempre Bobbio, scrivendo ad Enrico Peyretti: “Se lei intende per ‘fede’ il mondo degli affetti, delle emozioni, dei sentimenti profondi, sono perfettamente d’accordo con lei. Non c’è nessuna contraddizione tra il mondo delle passioni o delle emozioni e il mondo della ragione […]. Mentre vedo un contrasto tra l’uomo di ragione e l’uomo di fede […]. La fede, a me pare, è un’altra cosa: non ha niente a che vedere, secondo me, con le passioni e con gli affetti”. Molto più ricerca del divino che è in ciascuno, questa sembra essere la nuova connotazione della preghiera oggi, superando  anche l’idea di purificazione interiore tanto cara alla fede buddista, e senza nemmeno l’esigenza di accattivarsi i favori di un dio o di un prossimo che la quotidianità ci pone a fianco. Erri De Luca, poeta, scrittore e giornalista,  da sempre s’interroga sul rapporto fede-ateismo-preghiera, animando i salotti culturali d’Italia e non solo, dialogando con atei e credenti, anche e soprattutto giovani. Ha affermato:  “Non credo in Dio ma non escludo sua esistenza.  Nel mio nuovo romanzo La natura esposta io e il protagonista coincidiamo nel sentimento di essere non credenti però non atei. Perché l’ateo è colui che esclude la divinità anche dalla vita degli altri”.  Ospite a La7 qualche anno fa, sui temi relativi ai migranti, ha proclamato una meravigliosa preghiera laica, da lui così definita, che lasciamo al sereno pensiero di ciascuno. Mare nostro che non sei nei cieli e abbracci i confini dell’isola e del mondo, sia benedetto il tuo sale, sia benedetto il tuo fondale, accogli le gremite imbarcazioni senza una strada sopra le tue onde i pescatori usciti nella notte, le loro reti tra le tue creature, che tornano al mattino con la pesca dei naufraghi salvati. Mare nostro che non sei nei cieli, all’alba sei colore del frumento al tramonto dell’uva e di vendemmia. ti abbiamo seminato di annegati più di qualunque età delle tempeste. Mare Nostro che non sei nei cieli, tu sei più giusto della terraferma pure quando sollevi onde a muraglia poi le abbassi a tappeto. Custodisci le vite, le visite cadute come foglie sul viale, fai da autunno per loro, da carezza, abbraccio, bacio in fronte, madre, padre prima di partire.

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