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di Gerardo Pecci

Un mare di chiacchiere circonda il mondo dei beni culturali, ma nello stesso tempo vige la più totale e complice disattenzione istituzionale, con pesanti vuoti, anche dal punto di vista della corretta gestione di essi e spesso con un’informazione giornalistica piuttosto lacunosa. Eppure, oggi, il patrimonio culturale sembrerebbe essere oggetto di interesse di una larga parte dell’opinione pubblica, ma attraverso una spettacolarizzazione a fini economico-turistici. Si tratta di beni culturali da esibire per la fiera delle vanità di arroganti e ignoranti politici, con il proprio corteo di giornalisti ossequiosi e servili.

Per i politicanti la linea da perseguire nel campo della “valorizzazione” del patrimonio culturale è esclusivamente quella economicista, quella del profitto a tutti i costi, della messa a reddito di “merce rara”. Da anni stiamo assistendo a una mercificazione dei valori storici, delle idee, della civiltà, della memoria del passato e dell’anima di culture e popoli. Tutto questo è un vero e proprio disastro etico, morale ed istituzionale. Non si tiene quasi più conto del fatto che i beni culturali, la loro identità e natura, sono un patrimonio prezioso portatore di civiltà. Si è incrinata pericolosamente la funzione dell’arte come sistema di immagini che porta con sé valori umani e civili. Dobbiamo evitare di considerare le immagini come una «forma di espressione elitaria, riservata e comprensibile a pochi, specchio dei valori di gruppi sociali ristretti, ma uno strumento di comunicazione e interazione destinato a raggiungere l’intera comunità» (T. Montanari e S. Settis).

Il complesso sistema dei beni culturali, dall’archeologia alla storia dell’arte, dall’architettura alla demoetnoantropologia, è legato allo studio storico. Ed è la storia dell’arte che, prima di tutto e di tutti, ha il delicato compito di trasmettere le complesse conoscenze e i valori di civiltà che questi beni racchiudono e veicolano. Ma la storia dell’arte, come la storia, in quanto discipline scolastiche (e universitarie) in questi ultimi anni sono state oggetto di tagli e di impoverimenti significativi del tempo-insegnamento e del tempo-studio. Si tratta di tagli davvero vergognosi e infami.

Roberto Cecchi ha scritto che vi è «impotenza a far fronte a un patrimonio che non ci meritiamo e che talora percepiamo come una iattura, invece di considerarlo un’opportunità, come farebbe chiunque altro». Tutto questo però deriva dall’ignoranza della storia dell’arte e dalla malapolitica che sbandiera un falso modernismo che non ha coscienza di che cosa effettivamente sono i beni culturali e i loro valori.

Le opere d’arte, le immagini, la natura e i paesaggi sono elementi fondamentali, essenziali tasselli della nostra memoria culturale. Producono in impatto profondo sulle nostre vite e, come hanno scritto Tomaso Montanari e Salvatore Settis, «incidono profondamente sui nostri pensieri e sulle nostre decisioni. Hanno un valore civile fondato su tre fattori: la funzione, la forma e la storia». Tutto questo riguarda da vicino ogni essere umano perché coinvolge, in generale, il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. E, ancora una volta, il riferimento non può che essere quello contenuto negli articoli 9 e 33 della Costituzione della Repubblica Italiana perché solo la cultura, l’istruzione, la trasmissione rigorosa e corretta dei saperi, la ricerca umanistica, scientifica e tecnica possono generare conoscenze e quindi poter ottenere il passaporto per diventare cittadini attivi, informati e consapevoli, per tutelare efficacemente un patrimonio già più volte messo a rischio da condotte scellerate e inaccettabili, anche con la complicità di chi avrebbe dovuto vigilare sulla sua integrità e intangibilità e non lo ha fatto in maniera rigorosa e decorosa.

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