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di Gerardo Pecci

Oggi, è fin troppo di moda parlare di valorizzazione dei beni culturali, ma si vuole ignorare che essa non può, né deve, ridursi all’economia del turismo, alla proposta legata alla domanda e all’offerta di pacchetti turistici “mordi e fuggi”. Valorizzare un bene culturale significa prima di tutto conoscerlo e tutelarlo, proteggerlo, facendo in modo da farlo sopravvivere all’ingiuria del tempo, all’ignoranza e all’incompetenza delle persone. Senza la conoscenza, senza la tutela, senza la conservazione non si potrà mai parlare di “valorizzazione” di un bene culturale perché ciò che è stato distrutto, o danneggiato irreparabilmente, nessuno è in grado di restituircelo.

L’architetto Fausto Martino che per anni è stato ottimo e diligente funzionario del Ministero della Cultura afferma che «una ‘normalizzazione’ è in atto da anni. Le soprintendenze, annichilite, vilipese, private di personale e di fondi, si sono ridotte a semplici organizzatori di eventi. E non parliamo dei soprintendenti, per vari motivi ormai ostaggio di un potere politico sempre più pervasivo che ha in odio la tutela del nostro patrimonio culturale e paesaggistico». Anche Riccardo Naldi, docente ordinario di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, ha scritto chiaramente che «tra il prendersi cura di un edificio o di un’opera che stiano andando in malora o dar vita a un ‘evento’ occasionale, ma che porti visibilità mediatica e risorse a chi lo ha organizzato, quasi mai è la prima opzione ad essere scelta […] Ma limitiamo quanto più possibile gli eventi improvvisati all’ultimo momento per spender denari piovuti, con logiche non sempre comprensibili, per questa o per quell’altra occasione (anniversari, commemorazioni, feste, sagre di paese etc.). Investiamo forze e fondi in esposizioni preparate da studi e restauri ponderati e accurati, che siano reali opportunità di verificare ipotesi interpretative nuove e, soprattutto, di far conoscere al pubblico, in modo chiaro, ma non per questo superficiale, aree poco esplorate della nostra storia artistica». Roberto Gallo, sottufficiale in pensione dell’Arma dei Carabinieri, Comando per Tutela del Patrimonio Culturale, in linea con quanto affermato da Fausto Martino e Riccardo Naldi afferma in maniera puntuale e precisa che «in primis occorrerebbe coinvolgere il cittadino qualunque al fine di risvegliare il senso di appartenenza ormai smarrito. In particolar modo nelle nuove generazioni. A nulla servono “grotteschi” eventi che sono soltanto fine a se stessi. Il cui numero di partecipanti è più che altro il risultato di logiche di servilismo. Eventi che sono monologhi dei soliti relatori e moderatori senza alcuna partecipazione del cittadino qualunque che potrebbe probabilmente offrire quelle sensazioni di chi vive, conosce ed ama il proprio territorio. Questo, a mio parere e per esperienza vissuta, è il primo passo per una valida tutela, la valorizzazione ne è il seguito naturale». Roberto Gallo ha messo in rilievo il grande tema di fondo: quello della conoscenza, dello studio e della comunicazione del patrimonio culturale e quindi il ruolo della scuola nell’educare i cittadini al rispetto per la grande eredità che ci è stata affidata da chi ci ha preceduto. La scuola dovrebbe essere il luogo per eccellenza dove si trasmettono i saperi, le conoscenze. E se la seconda lingua degli Italiani è l’arte. È proprio essa che, attraverso l’insegnamento storico-artistico, deve avere il compito di formare e informare gli studenti, fin dall’infanzia, sui nostri tesori di arte e civiltà, secondo quanto già auspicava lo storico dell’arte Roberto Longhi. Ma nell’attuale contesto politico e dell’istruzione la storia dell’arte è stata massacrata, vilipesa, ridotta a materia di infima importanza, con vistosi e scellerati tagli in alcune scuole secondarie di secondo grado e la totale mancanza di essa nel primo biennio dei licei classici. Inoltre, la catalogazione dei beni culturali, che è atto primario per il riconoscimento di un bene culturale, è stata cancellata come disciplina di insegnamento dai licei artistici. Cosa vogliamo di più? Eppure non bisogna arrendersi contro chi rema contro il patrimonio culturale. Un ruolo importante lo ha anche la stampa, si spera, attraverso una corretta e chiara divulgazione del nostro patrimonio, per una diffusa conoscenza di tesori nascosti che spesso sono sotto i nostri occhi e non ce ne rendiamo conto perché non ne abbiamo coscienza e conoscenza storica e anche scolastica.

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