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Esattamente ottanta anni fa Napoli subì forse il bombardamento più pesante durante la Seconda Guerra Mondiale, i danni furono ingenti e venne praticamente distrutta anche la basilica di Santa Chiara. Il tutto faceva parte della cosiddetta strategia dei bombardamenti, che prescindeva, spessissimo, dall’individuazione di obiettivi precipuamente tattici, cioè immediatamente sensibili ai fini dell’offensiva, in genere, e dell’azione bellica, ma faceva parte di quella serie di azioni volte ad indebolire il nemico, colpendo anche settori dell’ambito pubblico e privato non necessariamente legati agli scenari della battaglia. Ma lo jus in bello lo contemplava, non facendo afferire tali azioni di bombardamento “strategico” all’area dei cosiddetti “crimini di guerra”, a meno che non si fossero colpiti ospedali ed altri obiettivi a carattere umanitario. Lo spiegamento di mezzi quel giorno fu eccezionale, si parla di circa 400 “fortezze volanti” B17, aerei che potevano trasportare da un minimo di 2.000 ad un massimo di anche 7.500 chili di bombe, toccando agevolmente i 10.000 metri di quota e i 300 km orai di velocità di crociera, con un’autonomia di oltre 5.000 chilometri, e colpirono molto duramente. Ma di lì a poco Napoli sarebbe risorta, scacciando gli invasori dopo quattro eroiche ed epiche giornate, il 30 settembre del 1943. E questa è storia risaputa. Un aspetto invece poco conosciuto della guerra sulla nostra penisola durante il secondo conflitto mondiale è il tentativo operato dagli inglesi di sabotare l’Acquedotto Pugliese, nell’intento (strategico) di far restare senz’acqua una parte del nostro Meridione, in particolare la Puglia, nel 1941. L’operazione, denominata Colossus, venne pianificata in maniera tanto minuziosa quanto audace, coinvolgendo le truppe d’èlite dell’esercito britannico, i paracadutisti, e segnando un primato particolare, quello del primo utilizzo di tali truppe in un’azione di guerra, e ciò proprio in Italia. L’unità prescelta fu l’11° Battaglione SAS, Special Air Service, con due squadre (commando) costituite da un manipolo di 38 parà, addestrati segretamente e duramente per tre mesi, tutti volontari e con tra di loro due interpreti oriundi italiani. L’obiettivo era il ponte dell’acquedotto nei pressi di Tragino, una località nel comune di Calitri, provincia di Avellino. La squadra d’assalto, divisa in quattro gruppi, giunse a Malta da dove partì a bordo di sei Armstrong Withworth Withley, bombardieri a lungo raggio, ed il piano prevedeva la distruzione del ponte ed il ritorno dall’entroterra irpino lungo il fiume Sele, fino al recupero con il sottomarino di Sua Maestà Triumph che, ad orari stabiliti, emergeva alla foce del Sele. Dopo il lancio, nella notte del 10 febbraio, la squadra, denominata X Troop, riuscì rocambolescamente a minare il ponte con le poche cariche recuperate dopo il lancio, la detonazione danneggiò il ponte che però, nel complesso, tenne nella sua struttura. Tutti i soldati vennero avvistati, la popolazione, allarmata, contribuì alla cattura di alcuni di loro, vi furono scontri a fuoco non intensi, con il ferimento di due inglesi e di due civili (alcune fonti ne riportano la morte), il resto dei soldati venne preso dalle truppe italiane di stanza sul territorio, l’impresa di percorrere le 60 miglia che li separavano da Foce Sele era fin troppo ardua anche per truppe scelte e ben addestrate. Spicca in tutto questo la grande figura del Generale Nicola Bellomo, comandante delle truppe di presidio in quelle zone. L’ufficiale salvò diversi membri della squadra d’attacco sottraendoli dal sicuro linciaggio da parte degli abitanti del luogo, attivando con dovizia ed umanità le procedure per l’imprigionamento, durante il quale un ufficiale inglese venne ucciso dopo aver reiterato il tentativo di fuga ed impugnando una pistola. Per questo, il generale venne giudicato per crimini di guerra da un tribunale militare britannico (con osservatori italiani cobelligeranti) all’indomani dello Sbarco a Salerno, e condannato alla fucilazione a Nisida, l’11 settembre 1943, dopo che si era rifiutato di chiedere la grazia.  La storiografia l’ha subito visto come vittima innocente e capro espiatorio dell’armistizio, il Comune di Nisida gli ha dedicato una targa, così come quello di Bari, la Repubblica Italiana l’ha insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare, per la difesa eroica del porto di Bari, il 9 settembre del ’43, dalle truppe naziste che tentavano di minarlo e distruggerlo. Resta l’unico militare italiano processato per crimini di guerra da un tribunale inglese. La sua corrispondenza epistolare con la moglie ne mette in risalto i valori più sublimi di soldato, di uomo, di credente. A tutt’oggi, sembrerebbe che la sua riabilitazione ufficiale non sia ancora avvenuta. L’operazione Colossus fece sì che l’alto comando italiano spostò un’aliquota di truppe sul territorio nazionale destinandole ad obiettivi sensibili quali ponti, dighe e acquedotti. Questione di strategia.

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