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Dai campi della Castellettese alla Primavera dell’Inter, passando per gli anni in Serie B e l’emozione di calpestare l’erbetta di impianti storici e suggestivi come Stambford Bridge e Camp Nou. E’ la storia di Federico Piovaccari, attaccante classe ’84 che da quest’anno ha deciso di sposare l’ambizioso progetto della Paganese.

L’emozione di assaporare l’ambiente Inter

“Per me è stato il coronamento di un sogno – ha dichiarato l’attaccante -. Arrivavo da un piccolo paese dove facevo gli interregionali. Allenarsi alla Pinetina con Bobo Vieri e Materazzi son cose che non capitano tutti i giorni. Da lì, poi, la cosa più bella è continuare la propria carriera che ad oggi sono contento di come sia stata. La voglia è quella di non smettere, però arriverà anche per me”.

Esploso calcisticamente a Cittadella, una favola ma allo stesso tempo una realtà consolidata

“A Cittadella vivi in una famiglia, in una società dove tutto funziona a perfezione, ci sono vari ruoli che vanno dal magazziniere al massaggiatore, all’addetto al campo. Tutti che portano il granello di sabbia per creare il castello. Parliamo di 10 anni fa, le cose son migliorate tanto perché hanno sfiorato per due volte la Serie A, ma nonostante ciò la politica del Cittadella non è mai cambiata, ossia quella di non fare il passo più grande della gamba e cercare di trovare sempre giocatori che possono esplodere”.

Tante maglie pesanti indossate, soprattutto quelle di Brescia, Novara e Sampdoria

“Tutte le esperienze devono essere belle. Poi è normale che dove le cose sono andate bene è facile ricordarsi. Capita nel calcio che ci sono squadre dove ti esprimi bene e in altre meno. Passare dal Cittadella alla Sampdoria è come passare da un mondo all’altro. Un pò per sfortuna e non bravura. Non mi reputo non all’altezza, perché poi due anni dopo stavo giocando in Champions League e l’anno successivo in Liga. In Italia, purtroppo, c’è sempre questa indole di non aspettare i giocatori, e dopo 6 mesi, se le cose non vanno bene, vieni ceduto. Tante società e calciatori sono esplosi dopo 2-3 anni, e viene sempre da farsi la domanda del perché in Italia non sia successo. Son situazioni che fanno male, perché poi vedi la Nazionale di Mancini che ha creato un gruppo straordinario e sta facendo delle cose magnifiche. Venivamo, però, da una decina d’anni dove si è fatta fatica. Adesso è la Spagna a far fatica, ma son cose normali. Gli spagnoli sono stati capacei di gestire i giovani come sempre fatto, e cercano sempre di portare avanti il loro progetto, una politica senza mettere obblighi. Son d’accordo che i giovani devono avere l’opportunità di giocare, però quelli bravi arrivano e giocano. Quando metti un obbligo il livello si abbassa, perché la maggior parte delle società devono far fare minutaggio, imporre di far giocare qualche giovane che magari non è ancora pronto.”

Si vola in Romania, allo Steaua Bucarest

“E’ stata una trattativa lampo. Loro erano venuti a vedere un Sassuolo-Grosseto, feci una doppietta, e da lì mi hanno preso in considerazione. Ero in vacanza, perché i preliminari di Champions iniziavano a luglio. In 2-3 giorni son partito e son andato in ritiro con loro. Lo Steaua è come la Juventus, il Milan e l’Inter. Ho avuto la possibilità di giocare in uno stadio con 60mila persone, vincere lo scudetto e la Supercoppa di Romania. Siamo passati da un estremo all’altro ed è andata bene”.

Dopo la Romania, ecco la Spagna, la Liga..

“La Spagna è tutt’altro clima ambientale. L’Eibar equivaleva ad un piccolo Cittadella della Liga. Ad oggi si vedono i risultati. Dopo sette anni in massima serie sono retrocessi lo scorso anno, ma penso che quest’anno dovrebbero tranquillamente tornare in Liga perché è una squadra forte. Ho trovato anche lì una famiglia dove tutto funzionava alla perfezione, dove non fanno mai il passo più grande della gamba. In Spagna il modello è diverso: la tattica viene meno, si predilige giocare in base alle tue caratteristiche piuttosto che impostare la partita in base a come gioca il tuo avversario. Si pensa più a noi stessi che all’avversario che si va ad affrontare”.

Ritorno in Italia per vestire la maglia della Paganese

“Impatto positivo. Ho giocato tre anni in Serie C, quindi sapevo che campionato era. Ho avuto questa opportunità tramite il presidente e il direttore che mi hanno voluto fortemente. Mi sono adattato alla realtà, però la cosa che non è andata benissimo è la condizione. Io sono arrivato il 25 agosto, dopo due giorni abbiamo giocato, e io non avevo fatto la preparazione atletica. Mi allenavo da solo. Mi è mancato quello e ho avuto qualche acciacco di troppo di conseguenza, anche se son contenti per adesso. Ho avuto un minutaggio scarso e ho fatto 3 gol. Sono conseguenze di una mancata preparazione fisica”.

Obiettivo playoff senza nascondersi

“Il presidente vuole fare un campionato importante. Il nostro obiettivo è centrare i playoff, perché penso che ad oggi la squadra ha le potenzialità per arrivare a giocarseli. Poi sta a noi far alzare l’asticella e arrivare più in alto possibile. Abbiamo avuto un piccolo blackout quando abbiamo perso tre partite di fila che ci hanno un pò tagliato le gambe. Dobbiamo cercare di dare più continuità. E’ vero che abbiamo avuto parecchi giocatori importanti fuori, però anche qui entra il sintomo di sfortuna. All’inizio è mancato Diop, poi io, poi Castaldo e tanti altri. Son mancati punti cardini dove la squadra ne ha risentito in campo. Una delle migliori partite della Paganese è stata col Francavilla. In quella partita non c’erano i titolarissimi. Son contento che anche con le assenze cerchiamo di dare il massimo. Dobbiamo cercare di migliorare anche fuori casa, perché se vogliamo ambire ai playoff dobbiamo avere più continuità”.

Bilancio in positivo e negativo sulla carriera in generale

“Il rammarico è quello di non aver mai giocato in Serie A. Speravo di arrivarci con la Sampdoria, cercare di avere una chance in più, però il destino ha voluto così. Non si può sapere mai nella vita come poteva andare la situazione. La gioia più importante è comunque stata quella di aver giocato a Stamford Bridge, al Bernabeu, al Camp Nou. Son sogni che si avverano da quando sei bambino. Qualche sogno si avvera ed altri no, però penso che i sogni son belli per cercare proprio di raggiungerli”.

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