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Si, avete letto bene. Non c’è bisogno di nessun titolo per descrivere tutto questo. Diego Armando Maradona ci ha lasciati, così, all’improvviso, quando tutto sembrava essersi tranquillizzato dopo il recente intervento alla testa. Un fulmine a ciel sereno, sereno come quel cielo azzurro sotto il quale ha calpestato l’erbetta del San Paolo e quello della sua Argentina. Azzurro e sereno, la combo perfetta che abbraccia i colori della sua Napoli e dell’Albiceleste. Ieri pomeriggio, un mondo già fermo di suo, si fermò del tutto: c’era chi stava tranquillamente in casa sul divano a giocare alla Play Station o guardando un film, chi lavorava, chi cucinava, e chi addirittura stava casualmente rileggendo un libro che parlava proprio di Diego. All’improvviso la notifica che non ti aspetti. Il mondo, purtroppo, è anche questo. Chi lo conosceva sapeva che questo momento sarebbe arrivato, sicuramente si sarebbe augurato il più tardi possibile, ma così non è stato. Maradona paga gli errori del passato, quelli che tutti conoscono e che per evitare di essere monotoni non riporteremo in questo articolo. A noi piace ricordarlo per le sue gesta eroiche, per la sua tecnica sopraffina abbinata a un senso di buonismo ed altruismo che solamente chi – come lui – è cresciuto intorno a tante difficoltà riesce a capire e ad esportare in un calcio italiano dell’epoca che godeva dei migliori campioni in circolazione. I palleggi con un limone – oggetto difficilissimo per palleggiare viste le sue dimensioni -, con una pallina da golf, con i lacci slacciati e addirittura i palleggi con le tibie, il tutto con sottofondo il meraviglioso pezzo degli Opus “Life is Life” di inizi anni ’90 che contornava anche quella generazione. Maradona é stato capace di vincere e far divertire il popolo napoletano, cosa che non riesce a tutti: 2 scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Supercoppa Italiana e la storica Coppa Uefa targata 1988-89 vinta contro lo Stoccarda. Praticamente la maggior parte dei titoli presenti nella bacheca del Napoli sono stati vinti durante la sua epopea. Stessa cosa con la maglia dell’Argentina, con la famosa “Mano de Dios” che regalò il titolo mondiale contro l’Inghilterra. Ma proprio con quella casacca creò qualche problema alla nostra Nazionale: Mondiali ’90, semifinale al San Paolo, tempio e casa di Diego. Lì era lui il padrone, bastava pronunciare una parola. Ebbe l’abilità di dividere il pubblico a metà tra il sostegno alla Selección e agli Azzurri guidati da Azeglio Vicini. Tutti sanno come andò a finire, e sanno anche della bordata di fischi che l’Argentina ricevette nel momento in cui partì l’inno per disputare la gara contro la Germania Ovest. Ripreso dalle telecamere, Maradona rispose con l’esclamazione «hijos de puta» rivolta agli spalti. Ovviamente non c’è bisogno del traduttore per capire il significato di quella frase.

Questo è Diego, campione indiscusso, idolo, icona, monumento. L’Argentina si è fermata tre giorni per lutto nazionale, a Napoli lumini, foto, dediche, cori e, cosa molto importante e meravigliosa, l’intitolazione del San Paolo con il suo nome. Perché “El Pibe” era uno dei pochi calciatori che in campo sapeva unire i suoi tifosi e i tifosi avversari. E’ riuscito a unire tifosi di generazioni diverse perché lui era il più grande, perché uno come lui non si poteva non amare. A chi cerca di offuscare la magia che l’amore per Maradona sta producendo, ricordando i suoi errori e le sue dipendenze, va evidenziato che le generazioni dell’epoca si sono avvicinate allo sport per merito suo. Diego ha deciso di sedersi per sempre e senza più il suo sorriso che lo ha caratterizzato per tutta la sua vita. Giorno drammatico per il calcio, per tutti i “calciofili”. Gracias, D1EGO!

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