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L’Oostende, società belga, a settembre aveva deciso di prolungare il contratto di Alexander Blessin fino al 2024, un premio doveroso per quanto fatto con la squadra tanto da aggiudicarsi l’etichetta di miglior allenatore del campionato belga. Quinto in classifica con una squadra che prima del suo arrivo aveva finito terzultima. Dalla costa atlantica alla Lanterna di Genova via Lipsia. Da lì, nel 2012, era partita la chiamata della vita. Una carriera normale da attaccante, ma all’Hoffenheim aveva lavorato con Rangnick e fu stesso lui a ricordarsi del suo allievo Blessin offrendogli il ruolo di allenatore delle giovanili del Lipsia.

Blessin si era ritirato da poco dal calcio, e mentre lavorava da assicuratore aveva studiato per diventare allenatore, ma non sapeva da dove iniziare. Lo ha fatto nel miglior settore giovanile di Germania, applicando quel famoso pressing che Rangnick ha reso famoso. Senza di lui non ci sarebbero Tuchel, Klopp e nemmeno Blessin. Pressare alto e recuperare velocemente la palla, estrema attenzione ai dati e alla gestione della psicologia dei giocatori. Insomma, i punti cardine anche dello stesso Rangnick.

Dopo l’U19, che a Lipsia è la seconda squadra, con l’arrivo di Nagelsmann aveva visto che la panchina dei grandi era occupata, e allora via in Belgio. Dopo aver chiesto alla moglie e alla famiglia vive a Stoccarda. Voleva trovare una panchina lì vicino, ma c’era una carriera da lanciare. Come Nagelsmann anche a lui piace osservare gli allenamenti dall’alto. La sua filosofia? Un allenatore deve sempre essere aperto alle novità. Chi pensa solo a migliorare resta fermo.

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