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Prendete la cartina geografica, puntate il dito sulla Giamaica e chiedetevi come un’isola così “piccola” possa raccogliere all’interno di essa bellezze naturali tanto meravigliose. Terza isola per grandezza delle Grandi Antille, ed ex colonia inglese, la Giamaica vanta oltre 200 specie di uccelli – in primis colibrì che è anche il simbolo della Nazione -, molti rettili e una varietà di specie di piante officinali per via anche di un clima tropicale. Un paesaggio verde, sempre vario e affascinante con altopiani coperti di foreste tropicali, dai quali scendono oltre 120 fiumi e torrenti. Insomma, una meta turistica che almeno una volta nella vita bisogna visitare.

Dici Giamaica e il riferimento non può che non andare a toccare le melodie di Bob Marley, musicista giamaicano che nella sua vita ha contribuito a sviluppare e diffondere in tutto il mondo uno stile di vita generalmente identificato con la musica reggae. Inoltre, la sua musica è fortemente dedicata al tema della lotta contro l’oppressione politica e razziale e all’invito all’unificazione dei popoli di colore come unico modo per raggiungere la libertà e l’uguaglianza. L’aspetto politico della sua vita è stato più importante di quello artistico. Marley divenne un leader politico, spirituale e religioso. Nel 1978 gli fu conferita, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia della pace dalle Nazioni Unite. In terra giamaicana, Bob Marley è doverosamente considerato come una divinità che passa una sola volta nella vita. Tra le altre cose da evidenziare, il figlio di Cadella Marley, nel 2014, è tornato a casa da scuola con in mano un volantino che chiedeva aiuto per risollevare le sorti della nazionale femminile di calcio giamaicana. Da quel momento in poi, Cedella ha preso sotto la sua ala quel team, ha lottato per scongiurarne lo smantellamento e, alla fine, ha trovato un nuovo obiettivo da inseguire che oggi ha centrato in pieno, riuscendo nel miracolo di portare una squadra che non c’era più, a confrontarsi con le più grandi campionesse del mondo. Come direbbe un saggio proverbio, buon sangue non mente..

La Giamaica, come ben noto a tutti, è uno Stato dove la corsa, il salto e tutte le discipline che richiedono il mix velocità-atleticità fanno a capo del movimento sportivo nazionale. Pur non essendo uno Stato molto popolato, in Giamaica si sono formati molti tra i più grandi velocisti di sempre: gli abitanti di quest’isola sono mediamente portati a prestazioni atletiche di grande potenza. L’attuale detentore del record del mondo e campione olimpico dei 100 metri è il giamaicano Usain Bolt che ha saputo fermare il cronometro a 9″58 nel 2009, battendo i suoi precedenti record di 9″69 e 9″72 realizzati in seguito al 9″74 del connazionale Asafa Powell. Giamaicano è anche Yohan Blake, medaglia d’oro nei 100 m a Taegu 2011. Anche il primato mondiale della staffetta 4×100 metri appartiene alla Giamaica, con il tempo di 36″84 stabilito nel 2012 nella finale olimpica dei Giochi di Londra dal quartetto composto da Nesta Carter, Michael Frater, Yohan Blake e Usain Bolt, tempo migliore dei precedenti primati di 37″04 (stabilito ai Mondiali di Taegu 2011) e 37″10 (stabilito ai Giochi olimpici di Pechino 2008). Omar McLeod è campione mondiale in carica dei 110 metri ostacoli con il tempo di 13″04. Da non dimenticare, tra gli atleti giamaicani più celebri, Don Quarrie, medaglia d’oro nei 200 metri ai Giochi olimpici di Montréal 1976. E’ tutto? Assolutamente no, perché c’è spazio anche per le donne: Shelly-Ann Fraser-Pryce, due volte campionessa olimpica ed una volta campionessa mondiale dei 100 metri piani, Veronica Campbell-Brown, campionessa olimpica dei 200 metri piani nonché campionessa del mondo di 100 e 200 metri, e Melaine Walker, campionessa olimpica e mondiale dei 400 metri ostacoli. Una delle atlete più rappresentative della Giamaica è Merlene Ottey, protagonista delle gare di velocità negli anni ottanta-novanta e vincitrice di svariate medaglie in campo internazionale.

Ma vi siete mai chiede il perché gli atleti giamaicani sono così veloci? Come è possibile che una piccola isola caraibica, con una popolazione inferiore ai 3 milioni di abitanti, riesca a produrre un numero così elevato di atleti di caratura internazionale? Sicuramente esiste un fattore genetico. Si parla del gene ACTN3, responsabile della produzione della proteina muscolare alpha-actinina-3, ma in realtà non esiste un vero e proprio “gene della velocità”. Un altro fattore che si pensa possa aver contribuito a sviluppare la velocità dei giamaicani è la selezione causata dalla tratta degli schiavi. La maggior parte degli attuali abitanti della Giamaica discende da uomini e donne deportati come schiavi dall’Africa. L’ ultimo aspetto dietro la velocità dei giamaicani, infine, è la tradizione. Lo sprint è una pratica popolare sull’isola dove i bambini si sfidano in gare veloci fin dalla più tenera età. Il sistema scolastico, inoltre, incentiva questa pratica tra gli studenti. Eventi di atletica come l’Inter-secondary School Boys and Girls Championship vengono organizzati ogni anno nella capitale Kingston, mentre importanti investimenti hanno permesso la realizzazione di strutture di allenamento all’avanguardia.

Oltre alla velocità, però, non può mancare il fenomeno del calcio. A portare questo sport per la prima volta furono gli inglesi, ma per assistere alla creazione di un vero e proprio movimento bisognerà attendere diversi anni. Basti pensare che la Federazione calcistica della Giamaica è stata sì fondata nel 1910, ma le affiliazioni a FIFA e CONCACAF sono arrivate rispettivamente nel 1962 e 1965, anni nel quale la Nazione ottenne l’indipendenza dai britannici. Compiuto questo importante passo storico, la Giamaica cominciò il proprio percorso calcistico nonostante le basi non fossero proprio quelle delle migliori occasioni. La National Premier League, ufficialmente chiamata Red Stripe Premier League per ragioni di sponsorizzazione, è l’equivalente della Serie A italiana. Attualmente dodici squadre prendono parte al campionato, e la più titolata è il Portmore United con 7 titoli vinti. La competizione è suddivisa in due fasi; nella prima ogni squadra gioca contro tutte le altre tre volte; alla fine della prima fase (33 giornate) le squadre comprese tra la terza e la sesta posizione giocheranno i quarti di finale, successivamente le vincitrici sfideranno le prime due in classifica nelle semifinali. Le prime due classificate si qualificano al Campionato per club CFU (dove partecipano di diritto i vincitori del campionato dei vari Paesi dell’area) mentre le ultime due retrocedono nei campionati regionali.

Logo ufficiale del campionato di calcio giamaicano

Il campionato è abbastanza seguito, ci sono molti appassionati che sostengono le squadre del loro paese anche se in molti, ovviamente, optano per gli squadroni europei ricchi di campioni. La Nazionale, però, è considerata come la squadra delle squadre. Non ci sono fenomeni, precisiamo, ma ogni volta che scende in campo è sempre una grande festa sociale tra le strade giamaicane. Possiamo dire con certezza, però, che le maggiori soddisfazioni sono partite dal 1994 grazie all’arrivo in panchina di René Simões, tecnico brasiliano. C’erano importanti aspettative intorno a questo progetto fortemente voluto da una Federazione che, nel 1982, non partecipò per problemi economici alle qualificazioni per il campionato del mondo 1982, e che fu assente anche da quelle per il 1986 per via della squalifica da parte della FIFA per insolvenze.

René Simões, allenatore della Giamaica dal 1994 al 2000

Il nuovo commissario tecnico rifondò la squadra e la ricostruì dalle fondamenta, arruolando in nazionale giamaicani che lavoravano negli hotel, calciatori britannici di ascendenze giamaicane e giamaicani che giocavano nei club britannici. La Giamaica ottenne da subito ottimi risultati, e coronò un’ottima annata vincendo, nel 1996, il premio Best Mover of the Year della classifica mondiale della FIFA. Niente male come inizio, però il vero grande obiettivo era quello di far bene alle qualificazioni per il campionato mondiale del 1998 in Francia. In mezzo, però, troviamo la mancata partecipazione alla Gold Cup 1996, e gli ottimi risultati nella Coppa dei Caraibi dove giunse nel 1995 e 1997 rispettivamente ai quarti di finale e semifinale. Era tempo di qualificazioni, e per la Giamaica c’era da affrontare il Suriname nel secondo turno, un accoppiamento che premiò la squadra di Simoes vittoriosa sia all’andata che al ritorno per 1-0. Tutto liscio anche nel terzo turno dove venne facilmente domato Barbados con un punteggio totale di 3-0. Adesso, però, si fa sul serio: nella fase successiva, le dodici squadre rimaste vennero suddivise in tre gironi da quattro, con la Giamaica che si piazzò in un raggruppamento impegnativo con Messico, Honduras e il modesto Saint Vincent e Grenadine, la classica squadra “cuscinetto” dove tutti vogliono attingere. La Giamaica frantumò ogni pronostico mettendo in evidenza una grande prova di solidità e soprattutto maturità. Primo posto nel girone con 13 punti, praticamente le aveva vinte quasi tutte tranne quella contro i messicani che nonostante la vittoria e la competitività della rosa arrivarono secondi. La Giamaica aveva dalla sua organizzazione, voglia di sorprendere e soprattutto di emergere, e quel meraviglioso DNA atletico che non glielo potrà mai togliere nessuno. Il 16 novembre 1997 la Giamaica, vincendo di misura contro il Messico, divenne la prima squadra di calcio anglofona dei Caraibi a qualificarsi per la coppa del mondo. Tutto il resto è storia.

Il 14 giugno 1998, allo Stade Félix-Bollaert di Lens, i Reggae Boyz (così soprannominati dai giornalisti) cominciano la loro avventura. Da Kingston a Montego bay, passando per tutte le “Colonie” in giro per il pianeta, tutti i giamaicani attendono il fischio d’inizio. La Giamaica è stata inserita nel gruppo H con Argentina, Giappone e Croazia, non proprio un girone semplice, ma si sa, i Mondiali sono i Mondiali. La gara d’esordio è con i croati e terminerà con un 3-1 in favore di una squadra che spruzzava talento da ogni lato del campo con i vari Suker e Prosinecki. Sette giorni dopo, al Parco dei principi di Parigi, i giamaicani, già spalle al muro in ottica qualificazione, si trovano davanti un colosso del calcio internazionale come l’Argentina. Simões opta per un più coperto 4-4-2. L’Albiceleste passa in vantaggio al minuto 33, con uno “scavetto” del “Burrito” Ortega. La Giamaica non si rende mai pericolosa ma regge botta, avviandosi a chiudere il primo tempo con un solo gol di svantaggio. Nel recupero, però, “Pow-PowPowell entra in maniera folle su Ortega, riceve il secondo giallo e termina così il suo mondiale. La nazionale di Passarella nel secondo tempo dilaga: Ortega fa doppietta al 55′ con la fotocopia del primo gol, mentre al 72′ esimo sale in cattedra Gabriel Batistuta che, con due destri precisi e un calcio di rigore, fissa il il risultato sul 5-0. Partita a senso unico e giamaicani già con le valige in mano. Resta però l’ultima partita del girone, ed è proprio qui che si riscrive la storia: sono le ore 16 del 26 giugno del 1998, e allo Stade Gerland di Lione va in scena la la “Finalina” del girone H. Il Giappone arriva a questa sfida dopo due onorevolissime sconfitte per 1 a 0 contro Argentina e Croazia. L’eroe di giornata diventa proprio “il barista” Theodore Withmore. E’ lui infatti a siglare la doppietta che consente alla Giamaica di conquistare i suoi primi tre punti nella storia in una competizione mondiale. I Raegge boyz superano per 2-1 il Giappone ed è immediatamente festa grande. La Giamaica concluderà al terzo posto con 3 punti, ma la simpatia che riuscì a portarsi dietro fu una delle tante piccole vittorie di quella Nazionale.

Theodore Whitmore, l’eroe del Mondiale giamaicano del 1998

Si torna a casa a mani vuote ma con il cuore pieno di sorrisi e soddisfazioni. I giocatori di quella nazionale saranno accolti da fiumi di tifosi festanti all’arrivo in aeroporto a Kingston. Peccato per quel sogno che sfumò così presto, ma forse non c’era da rammaricarsi. Il sogno tanto desiderato si era già avverato quel 16 Novembre del 1997, quando un’isoletta nel cuore dei Caraibi ha scritto una delle più belle pagine della storia dei mondiali.

Oggi la Giamaica, guidata proprio dal suo eroe Whitmore, è una selezione molto rispettata in ambito caraibico, ma una nuova qualificazione ad un Mondiale da quel meraviglioso 1998 non è mai più arrivata. Da lì qualche buon risultato ottenuto in Gold Cup, l’ultimo nel 2019 con la semifinale, e la vittoria della sesta Coppa dei Caraibi disputata in casa nel 2014 vinta contro Trinidad e Tobago.

Molti calciatori della Nazionale giocano in MLS, ma con il passare degli anni anche in Europa abbiamo assistito a qualche macchia giamaicana di buon livello. In Germania troviamo il talentuoso Leon Bailey del Bayer Leverkusen che ha rifiutato la chiamata della nazionale inglese, in Inghilterra c’è Adrian Mariappa nel Watford, e qualche altro calciatore che gioca in Belgio e Turchia. Ci sarebbe spazio anche per un grande campione come Raheem Sterling, nato proprio nella capitale giamaicana di Kingston. Nonostante le radici, l’ala del Manchester City ha optato per la nazionale inglese, forte del fatto che a soli 5 anni decise di trasferirsi in Inghilterra per iniziare gli studi. A quest’ora la Giamaica poteva avere sia Bailey che Sterling a propria disposizione, e probabilmente in ambito caraibico ci sarebbero state briciole per gli avversari. Ma tutto questo, ovviamente, è tutt’altra storia. La Giamaica, con o senza Sterling, è una delle squadre più forti dei Caraibi, se non la più gettonata e titolata.

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