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Soprattutto in questo periodo, in tante case, ed in modo particolare in quelle del nostro Meridione, è un susseguirsi di preparativi e affaccendarsi, quasi un rito sacro che coinvolge l’intera famiglia. Le abitazioni si riempiono di odore di basilico, rumori di bottiglie e di barattoli di vetro che cozzano, piccoli mostri domestici, manovrati anche da bambini, sferragliano ingoiando quintali di frutto porporino e restituendo delizioso succo.  C’è chi non resiste alla vista, ne prende un po’ spalmandolo su una fetta di pane, con un pizzico di origano ed un filo d’olio, magari rimembrando chi addietro aveva fatto lo stesso gesto e chiedendosi perché ora lo stesse facendo pure lui; c’è chi vuole solo la passata di pomodoro, chi i pomodori pelati, chi con la buccia e chi senza. E’ un autentico universo gastronomico in movimento, fatto di usi, trasmissione di memoria, di conoscenze. E pensare che fino al 1600 questa pianta era considerata meramente ornamentale anzi, si pensava che fosse addirittura velenosa, ma potrebbe esserci un fondamento di verità, infatti,  introdotte nella nostra Europa nella prima metà del 1500, è alquanto probabile che le prime varietà di pomodoro a noi pervenute potessero contenere una quantità elevata di solanina, sostanza che avrebbe potuto far sì che fossero di difficile commestibilità, indigeste o addirittura velenose, per cui i primi utilizzi furono come ornamento ma anche come medicinale. Vennero studiate nei vari orti botanici ma solo in maniera limitata, così la storia europea di questo eccezionale frutto è piuttosto recente. E’ curioso assistere a inquadrature cinematografiche che propongono scene ambientate in Medio Oriente nei primi secoli dopo Cristo con alle spalle un campo di pannocchie, oppure inquadrature di un’Europa del primo Medioevo con distese di peperoni o pomodori. Si dovrà aspettare, infatti, la scoperta dell’America per cominciare a vedere mais, patate, peperoni e peperoncini, pomodori, e poi ananas, arachidi, cacao, fichi d’india anche da noi. In Italia il pomodoro arriva dalla Spagna grazie soprattutto ai Borbone ed al rapporto particolare che avevano con la Spagna e con le famiglie regnanti dalla Spagna, per quanto concerne l’utilizzo gastronomico si dovrà aspettare intorno alla prima metà del Settecento, con una diffusione e un uso ormai stabilizzato nell’Ottocento. Si sa che Cosimo de’ Medici nel 1548, a Pisa, in una delle sue tenute, ottenne un cesto di pomodori che erano nati da sementi donate alla moglie Eleonora di Toledo proprio dal papà, viceré del Regno di Napoli. Quindi il passaggio dai giardini dei nobili alla tavola fu un po’ articolato e lungo. Non è affatto errato parlare di una sorta di culturalizzazione di questa pianta, particolarmente nel nostro Paese che è famoso per la pizza, le bruschette, la pastasciutta, tutti alimenti che utilizzano il pomodoro e che ci connotano nel mondo, anche soprattutto attraverso questo prodotto particolare. Ma è culturalizzazione anche il modo in cui le diverse specie sono state coltivate e sono utilizzate, pensiamo al pomodoro Pachino, al Pomodorino del Piennolo del Vesuvio D.O.P., al San Marzano, dietro c’è un intero movimento di persone che nei secoli hanno pensato ad altri, ideando come coltivare e conservare questo prodotto, e ciò facendo ci si è dedicati a chi l’avrebbe mangiato, nell’ambito familiare e non, ai tanti delle diverse future generazioni che ne avrebbero tratto giovamento. E’ un indubitabile modo per amare, per rapportarsi con l’altro nel segno del dono e della gratuità, dell’incontro. Forse il primo seme proprio del pomodoro San Marzano è stato donato dal viceré del Perù al viceré di Napoli nel 1770.  C’è un’eredità che si accetta e accoglie nella vita di ciascun uomo, ciò comporta che si debba porgere un grazie a chi tale eredità l’ha lasciata, è un principio da tenere presente segnatamente nei contesti nei quali si vive oggi, dove l’essere grati ad altri spesso viene visto come un segno di debolezza o addirittura prassi da deprecare, anche se è dimostrato che la gratitudine giova al benessere psicofisico e non sminuisce chi la prova. Fu proprio l’incontro tra vecchio e nuovo mondo a far sì che si realizzasse una eccezionale operazione di scambio per quanto concerne l’alimentazione dell’uomo, diversi altri prodotti sarebbero arrivati in Europa e tanti altri sarebbero invece giunti nel continente americano. Si è trattato quantunque di un’operazione culturale, una circostanza che ha visto coinvolto l’uomo nelle sue varie attitudini, quelle più intrinseche e radicate, ciascun individuo è pur frutto di ciò che ha ricevuto, anche in dono, e il donare è un grande atto di liberalità, un’operazione culturale che coinvolge l’uomo nelle sue facoltà naturali e nel loro futuro sviluppo. Nell’antica cultura dell’Oriente antico, il concedere qualcosa in eredità significava lasciare anche la facoltà di deciderne cosa farne a chi la riceveva, anche di sbagliare, e ciò rappresentava assoluto preconio alla libertà.

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