L’inutile sacrificio dei marinai del sommergile “Velella”, alla vigilia dell’armistizio, al largo di Punta Licosa

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L’associazione Nazionale Marinai d’Italia ogni anno intorno al 7 settembre, scandisce con profonda commozione i passi della memoria e della storia, ricordando l’affondamento del sommergibile della Regia Marina Italiana Velella. Quest’anno, in data 9 settembre, proprio per celebrare gli 80 anni dall’affondamento, il rimembrare sarà emozionale, con una drammatizzazione a cura dell’attore e regista Gaetano Stella, sul molo di Punta Licosa, a Castellabate, i drammi di 51 famiglie saranno riproposti ancora, per riflettere, per non dimenticare, per capire. Sì, ancora per capire, il sommergibile venne affondato 16 chilometri al largo di Punta Licosa, mentre era di pattuglia proprio in vista dello sbarco a Salerno, ma perché se di lì a poco, alle 18.30 ora italiana, l’8 settembre il generale Dwight Eisenhower avrebbe annunciato l’armistizio (già firmato il 3 settembre a Cassibile) da Radio Algeri, e alle ore 19.42, l’avrebbe fatto anche il maresciallo Pietro Badoglio alla radio italiana? Era proprio necessario che il Velella fosse inviato a contrastare una forza da sbarco di circa 1000 navi, per combattere una battaglia a cui gli italiani non avrebbero mai partecipato, per lo meno in quanto forze dell’Asse? Il segreto giace in fondo al mare, insieme a ciò che resta dello scafo e dei poveri marinai, a poco più di 130 metri di profondità, ma è decoroso, forse indispensabile porgere una riflessione. La Regia Marina, nel marzo del 1943, aveva allestito una pianificazione operativa, detta “Piano Zeta”, di rischieramento dei propri sommergibili a difesa della Sicilia, della Sardegna e di parte delle coste del sud Italia, il tutto era organizzato in maniera modulare, con una parte comune che riguardava tutti gli equipaggi ed un’altra segreta, in buste chiuse da consegnare a mano ai comandanti delle varie unità. Era un’operazione di pattugliamento a vasto raggio, che diede i suoi risultati in quanto vennero localizzate “formazioni navali anglo-americane in navigazione verso le coste dell’Italia meridionale”, in data 7 settembre, a seguito di ciò vi fu un nuovo posizionamento di 15 sommergibili, tra i quali anche il Velella, cui toccò, appunto, il sud del Tirreno. Tale modus operandi era stato accuratamente pianificato tra la componente italiana che aveva allestito il tutto per l’armistizio e quella alleata, proprio come diversivo ad evitare che i tedeschi s’insospettissero della mancata operatività della Regia Marina, a tutela dell’assoluto segreto dell’accordo di pace, il Velella si trovò, così, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Nel pomeriggio di quel 7 settembre, il tenente di vascello Mario Patanè, di Acireale, guidava sicuro il suo sottomarino, i due motori Fiat da 1500 cavalli giravano regolarmente, l’equipaggio era sereno e pronto, a fianco a loro navigava l’altro sommergibile Brin, molto più vicino alla costa, ma in mezzo a loro vi era il lieutenant (tenente di vascello) Michael Frederic Roberts Ainslie, della Royal Navy, al comando del sommergibile di Sua Maestà Shakespeare, che era partito per la sua 10ª crociera di guerra il 24 agosto da Algeri giungendo nel golfo di Salerno il 30 agosto, in agguato, a quota periscopica, toccando anche il tratto di mare a sud-ovest di Capri. Il comandante Ainslie avvistò entrambi i sommergibili, non sapeva che si trovassero lì quasi per finzione, così come non lo sapevano i comandanti italiani, ciascuno era pronto e ligio nell’assolvere il proprio dovere, fino in fondo. Il Brin si trovava molto più vicino alla costa e, al calar del sole, si confondeva con il resto del paesaggio, Ainslie scelse così il Velella, che si stagliava nettamente nel meraviglioso tramonto settembrino, era bello, con le sue 794 tonnellate di stazza, i suoi 63 metri di lunghezza, le sue 51 vite a bordo, sembrava appena uscito dai cantieri di Monfalcone, il 18 dicembre 1936, giorno del suo varo. Il tenente di vascello Ainslie inquadrò il sommergibile italiano nel periscopio, ne rilevò distanza e velocità, fece approntare almeno due siluri da 533 mm., poi l’ordine: “torpedoes out!”, “siluri fuori!”. L’esplosione, la morte, la fine.  “The loss of Velella was tragic, she was the last Italian submarine to be lost by enemy action as in a few hours Italian submarines would be ordered to surrender to Allied forces.”, il rapporto di guerra inglese è laconico e drammatico: la perdita del Velella fu tragica, rappresentò l’ultimo sottomarino italiano perso in azione, poiché di lì a poche ore ai sottomarini italiani sarebbe stato ordinato di arrendersi agli Alleati. Questo infimo brano giornalistico intende ricordarne ed onorarne la memoria, di quei 51 marinai e delle loro famiglie, che non hanno avuto nemmeno una tomba su cui piangere i loro cari. Se dovessimo trovarci in quel tratto di mare, porgiamo un tenue pensiero.

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