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Intervista a Gerardo Pecci

Gerardo Pecci è docente di storia dell’arte presso l’Istituto di Istruzione Superiore “Perito-Levi” di Eboli. Sia come storico dell’arte che come giornalista si occupa di argomenti artistici e culturali. Ha svolto l’attività di ispettore onorario del Ministero della Cultura per il patrimonio storico-artistico della provincia di Salerno. Lo intervistiamo per conoscere il punto di vista di un addetto ai lavori con grande esperienza nel campo della tutela del patrimonio artistico italiano.

Su cosa si basa il restauro?

Uno dei nodi fondamentali per quanto concerne il restauro delle opere d’arte, è quello della correttezza filologica e tecnica dell’opera che si va a restaurare.

Cosa s’intende per correttezza storica?

Si intende rispettare quella che è la forma, quella che è la filologia formale dell’opera e poi anche rispettare i materiali e i colori con cui le opere d’arte sono state realizzate.

In Italia, vengono sempre rispettate queste regole?

Ci sono dei casi in cui in alcune chiese e in alcune cappelle si vedono opere che sono state “rifatte”, ridipinte. Mi riferisco soprattutto al barocco meridionale italiano, a statue di madonne, di santi, a gruppi statuari ecc. Si tratta di opere realizzate tra il Seicento e il Settecento quando era in auge, dall’Italia meridionale alla Spagna, l’esportazione di esse soprattutto da Napoli. Si tratta di opere della scultura lignea policromata, fatta con legni pregiati, particolari. Questi legni venivano lavorati insieme al gesso e gli scultori realizzavano le statue al posto del marmo. Ci sono statue di Santi, Madonne e di Gesù anche di grandi dimensioni, simili al vero, con gli occhi di vetro o di cristallo per dare un aspetto di verosimiglianza. Nel restauro di queste statue, purtroppo, spesso si è intervenuti in modo scellerato, con colori acrilici moderni che vanno ad incidere sulla percezione cromatica ed anche sulla percezione della forma delle statue in modo tale da renderle quasi irriconoscibili, con un aspetto nuovo che in origine non avevano, violentando quella che era la cultura dell’artista che ha realizzato l’opera e i colori che sono stati usati. Si è spesso trattato di ridipingere in modo moderno le statue, senza tener conto il principio del rispetto del punto di vista filologico e formale e quello della cromia originaria dei colori e dei materiali usati dall’artista.


In definitiva come deve essere un restauro ben fatto?

Deve riportare l’opera allo splendore originale senza modificarla in alcun modo. Invece oggi si usano dei colori moderni che alterano la lettura dell’opera e la rendono, nel migliore dei casi, leggibile solo in modo parziale.

Ci può fare un esempio?

E’ il caso della statua dell’Immacolata Concezione di Giacomo Colombo, conservata nella nicchia di un altare nella chiesa di San Francesco ad Eboli, nel centro storico. Se confrontiamo l’immagine della Madonna di qualche anno fa con quella attuale, ci accorgiamo che è stato fatto un restauro (se così si può definirlo) approssimativo. In quanto la veste della Vergine che in origine si presentava bianca, come è giusto che sia tradizionalmente l’Immacolata, ora si presenta con un colore che va dal rosa al marrone, con la manica della stessa veste color verde, in netto contrasto con l’uniformità dell’abito. Infatti, essa dovrebbe avere lo stesso colore della veste, facendone parte. Invece ci troviamo di fronte ad una bicromia sui generis, con un colore squillante e assurdo.

Ma quale istituzione ha stabilito le regole corrette per il restauro?

Ci sono i principi del restauro che sono stati acquisiti da anni dall’Istituto Centrale del Restauro, nella pratica di restauro e nelle scuole specialistiche più note. La pratica del restauro ci dice che filologicamente bisogna rispettare il tutto: bisogna rispettare i materiali e i colori originali, bisogna fare dei prelievi alle opere. Vedere che tipi di colori ci sono, conoscere esattamente la loro natura chimico-fisica. E riportare i colori come l’artista li ha messi. E’ vero che nel ‘600 -‘700 gli scultori facevano le statue e poi si affidavano ai pittori che avevano il compito di colorarle. Ma nel caso di Giacomo Colombo non è così. Infatti nel 1701, nonostante fosse scultore, fu eletto prefetto della Corporazione dei pittori di Napoli. Quindi questo vuol dire che aveva una grande padronanza anche della pittura e che i colori li metteva lui quando dipingeva le statue. Dal progetto iniziale si arrivava così ad avere l’opera finita, che spesso era di grande impatto visivo e soprattutto di grande qualità. Le statue di Giacomo Colombo che ancora oggi conservano i colori e l’aspetto originario sono straordinarie. Torniamo ora alla Vergine di Eboli, dopo il “restauro”. Dopo l’intervento sulla statua, ci troviamo con un blu notte sul suo manto, che all’origine era sicuramente celeste, un colore meno carico e profondo di quello scuro messo dopo il recente “restauro”, oggi decorato con dei fiori al posto delle originarie stelle. Si tratta di un’operazione di filologia del restauro come minimo poco accorta. Infatti, questa statua offre una percezione visiva diversa da quella che, evidentemente, l’autore aveva dato. A sostegno di questa mia osservazione, sopportata dai canoni del restauro brandiano, cioè quelli messi in campo dalle teorie del restauro di Cesare Brandi, mi sono rifatto all’autorità di uno studioso spagnolo, che è uno dei grandi studiosi di Giacomo Colombo e che ha studiato dettagliatamente un po’ tutte le Immacolate di questo maestro. Egli ha scritto un saggio scientifico molto accurato, uno studio storico-artistico nel quale vi è riportata anche la statua in questione, appunto quella nella chiesa di San Francesco a Eboli.


Come si chiama questo studioso spagnolo?

Si tratta di Roberto Alonso Moral, storico dell’arte e importante studioso della scultura in legno policromato in età moderna tra Italia e Spagna. Egli è professore nel Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università Complutense di Madrid e vive a Siviglia. Mi sono consultato con lui e mi ha confortato in questo. Infatti, gli ho mostrato l’immagine dell’attuale statua della Madonna Immacolata di Colombo a Eboli e lui mi ha risposto così: «Grazie per avermi inviato la foto dell’Immacolata di Eboli. Si vede che hanno preferito ridipingere completamente la statua prima che recuperare la policromia originale. Queste pratiche non dovrebbero essere comuni in un paese, l’Italia, che ha fatto tanto per le lettere del restauro [per la teoria e per la pratica del restauro]. Bastava solo fare una buona diagnosi sullo stato di conservazione della policromia e ricostruire una buona memoria storica dell’opera, confrontando il pezzo con gli altri di stessa iconografia conosciuti, per sapere che Colombo non usava questi nuovi colori attuali». E’ un giudizio molto importante quello di Roberto Alonso Moral perché mette in evidenza che non è stata rispettata per niente la policromia originale dell’opera ebolitana.

Quindi possiamo affermare che, chiunque abbia realizzato questo restauro, non si può considerare tale?

Sicuramente, visto che abbiamo un’immagine dell’Immacolata alterata. È un’altra statua, appare profondamente diversa, coloristicamente parlando, offre l’impressione come se non fosse più quella voluta e realizzata dall’artista.

Non sarebbe stato necessario, per il restauro dell’opera, un’autorizzazione della Soprintendenza alle Belle Arti?

Certamente, considerato che storicamente quest’opera fu voluta dal Comune di Eboli e che dovrebbe essere ancora oggi di proprietà del Comune di Eboli, andava per legge fatta restaurare con l’avallo della Soprintendenza all’Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Salerno e di Avellino, sotto l’alta sorveglianza di un tecnico, di uno storico dell’arte che avrebbe dovuto approvare un progetto di restauro e dirigerne i lavori. Francamente non so se vi è stato un progetto né se questa “alta sorveglianza” vi è stata oppure no. Non voglio indagare ma, a giudicare dai risultati, dovrei pensare di no, ma non ho elementi in merito per affermare ciò e non conosco chi ha rifatto cromaticamente quest’opera. Infatti, sembrerebbe che ci troviamo di fronte un semplice rifacimento cromatico dell’opera che non ci dà la possibilità di poterla ammirare così come Giacomo Colombo l’aveva concepita. Questo lo affermo da storico dell’arte in nome di una capillare tutela e di corrette prassi di restauro che oggi, in Italia, in generale, vengono sempre più snobbate e messe da parte perché ognuno crede di poter fare ciò che vuole, anche senza il permesso delle autorità competenti e delle persone capaci di realizzare complesse tipologie di interventi che richiedono diagnosi tecnico-scientifiche accurate, preliminari a qualsiasi intervento che possa definirsi un vero e proprio lavoro di restauro.


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