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DAL 25 DICEMBRE ALL’EPIFANIA. LE FESTE E LA MODERNITA’

Natale: una festa cristiana ma ispirata alla tradizione “classica” e/o alla mitologia “pagana” (non solo greca e latina). Innanzitutto, la data del 25 dicembre non ricorda – realmente, in maniera esatta – la ricorrenza “precisa” della nascita di Gesù Cristo: è una solennità “convenzionale”, diciamo (nel senso etimologico del termine) che indica il Natale del Sole Invitto o Invincibile (Natalis Solis Invicti), legato ai riti del Solstizio d’Inverno. Nel quale, appunto, protagonista è il Sole – non solo, quindi, visto o considerato come simbolo dell’Astro di Cristo fatto Uomo; giunto tra i popoli terrestri. È il periodo dell’anno nel quale la luce del giorno incomincia a “salire”: le giornate si allungano – per terminare con il Solstizio d’Estate, il 21 giugno. In tal data, il sole è alto nel cielo molte più ore rispetto a quelle dell’oscurità. Negli Equinozi (in primavera e in autunno), il vocabolo stesso indica – invece – una “parità” di ore di chiarore e di buio. È il ciclo della Vita, metafora dell’esistenza. Di Gesù Bambino. Della Divinità, ora non più trascendente e inavvicinabile – bensì umana e terrena. Da humus, humilis, homo: basso come la terra. Non per nulla, i doni dei Re Magi (la leggenda narra di tre saggi astronomi – ma i Vangeli ufficiali non ne fanno menzione, si pensa a più di quattro persone – appunto maghi, che si recano ad adorare il Cristo; anagogia per tutti i popoli dei “Gentili”: i pagani, i non circoncisi) sono oro (regalità); incenso (omaggio alla Divinità); mirra (in relazione all’umanità di Gesù, essendo tale elemento una lozione per ungere i cadaveri in decomposizione). Il Dio uomo, dunque. Nato dal grembo virginale di Maria: la Madre di Dio o del Signore (figlia del suo Figlio dantesca); la Mater Dei o Mater Domini; la Dei Genitrix. La Deipara o Deifora, la Theotokos o Teotoca: la Madre di Dio. Altrimenti detta: Odigitria o Lattologa – colei dal cui seno (grembo) virginale ha avuto inizio la Vita. Poiein – donde Poesia. La Madonna, regina della Pace, è venerata (appunto quale madre di Dio) il primo gennaio di ogni anno. Torniamo al tema del Natale – così caro ai pittori e ai letterati o poeti (gli artisti in genere, amanti del Bello): Pascoli è sublime e descrive magistralmente le care ciaramelle – dal suono commovente e dolce, ovattato, disiato. Le ciaramelle – attenzione! – sono sostanzialmente differenti dalle cornamuse e/o dalle più… “semplici” o “consuete” (ma non sono termini appropriati) zampogne. I cultori della materia (musicale) ben lo sanno. Tra i “maestri” dell’arte sonora legata alle zampogne (strumento presente – in forme diverse – già nell’antichità, tra sistri, lire, cetre o “citare” ed aulos) certamente occorre commemorare Antonio Giordano e la compagnia “D’Altrocanto” – da noi citata in altri articoli e/o servizi cronistici precedenti. Ricordiamo solo che – in genere – gli zampognari indossano il mantello detto “tabarro”. Sono, pertanto, intabarrati. Chi scrive ha potuto notare che questo indumento è indossato dagli abitanti di Montella – caratteristica cittadina irpina (nell’Avellinese). Purtroppo, la tradizione del vestire questo capo d’abbigliamento va a perdersi. Ma torniamo, ancora, a noi. Abbiamo anche parlato, narrato della fiera “ambrosiana” (in tutti i sensi) dei dolciumi e/o dei giocattoli – a Milano – detta: “O bei, o bei”. Dalle esclamazioni ammirate, di stupore, dei piccoli milanesi quando – in data 7 dicembre 1510 – il messo papale Giannetto Castiglione giunse nell’antica Mediolanum, tra i seguaci del rito di S. Ambrogio (il vescovo che, secondo la tradizione, convertì S. Agostino di Ippona – e non l’omonimo Agostino di Canterbury – figlio di S. Monica. Madre e figlio sono venerati rispettivamente il 27 e il 28 agosto – secondo il calendario gregoriano). Per ingraziarsi i “grandi”, ecco che il Castiglione pensò bene di donare ai bambini dolci e giochi che li avrebbero sicuramente affascinati. Ecco – dunque – l’origine di questa caratteristica fiera decembrina. Tra i dolci tipici natalizi del “Bel Paese” – l’Italia, considerata “il giardino d’Europa” – molto caratteristici sono gli struffoli partenopei, i mostaccioli (sempre a Napoli – tra l’altro molto apprezzati da S. Francesco d’Assisi, che volle addirittura assaggiarli in punto di morte; S. Tommaso d’Aquino, invece, adorava le aringhe salate), i roccocò. Poi (oltre al panettone milanese e al pandoro di Verona) abbiamo la cuccìa siciliana (probabilmente ispirata al “Biancomangiare” medievale) – che si assapora non tanto il 25 dicembre, bensì il 13 del mese: ricorrenza di S. Lucia. Già in altri articoli precedenti abbiamo avuto modo di dimostrare come sia questo il giorno più atteso dell’anno – ovviamente in Sicilia: i regali giungono non da Babbo Natale (o Santa Klaus, S. Nicola di Bari – vescovo di Myra, in Turchia; l’etimo indica un uomo “vincente” – dal greco “Nike”, la vittoria alata cui è ispirato il logo dell’omonimo brand di outfit ginnici e/o di abbigliamento). Bensì i doni

sono portati, ovviamente ai bimbi “buoni” (?) o più studiosi e tranquilli, dalla santa vergine e martire. Rappresentata, nell’iconografia ed iconologia popolare, con la “classica” e “consueta” palma del martirio insieme al vassoio in cui vi sono gli occhi che – secondo la tradizione – le vennero cavati, per poi ricrescere. Il nome stesso indica, appunto, la luce (e qui torniamo al 25 dicembre). Come Lucilla, una santa che ricorre il 31 ottobre. Tutto ispirato, sembra, alla dea Lucina. Che fa parte della mitologia classica, come lo è la dea sabina (popolazione preromana) Strenua. Donde gli etimi “strenna” (natalizia, per l’appunto) e “strenuamente” – essendo la divinità della forza. Il vecchio adagio napoletano recita (tradotto e – forse – “storpiato”, in Italiano) che “A S. Lucia” manca solo un passo di gallina affinché la luce permetta alla giornata di “crescere”. Invece, il giorno dopo (14 dicembre, S. Agnello o Aniello – patrono di Sorrento e di altre cittadine sparse per l’Italia) la luce “avanza” a “passo di vitello”: ancora più decisamente. Si dice, è tradizione (però è errato), che S. Lucia e S. Aniello siano parenti: fratelli. E che il santo diventi “vendicativo” se a S. Lucia ci si reca in chiesa ma non il giorno dopo. Leggende, che si perdono nella notte dei tempi; ma non poi tanto. Occorre considerare che i contadini, nei campi, lavorando chini contraevano strappi muscolari ed avvertivano dolori alla spina dorsale. Oppure, cibandosi di segale cornuta, soffrivano di ergotismo. Per questi ed altri motivi sono sorte tali affascinanti, evocative leggende etnografiche ed antropologiche. Molto immaginifiche. Tornando a S. Lucia, ella è la santa che ha introdotto – in Italia ed altrove – l’usanza di porre le candeline sull’albero di Natale. L’abete addobbato, il Tannenbaum, il maio. Retaggio celtico, risalente al semain o capodanno (appunto) celtico. Tra il 31 ottobre e il primo novembre, Halloween – dall’Inglese “All allows eve”: “festività di Ognissanti” oppure da “Hallo, witch!” (sempre in Inglese: “Ciao, strega!”. Infatti questo era il periodo in cui gli antichi popoli della Gallia si recavano nella foresta e – tra bagordi, libagioni e canti – incidevano il nome dei figli sui tronchi degli alberi. I loro sacerdoti, i druidi, tagliavano inoltre con il falcetto il vischio. Che così divenne un ulteriore simbolo augurale – alla stregua del pungitopo e dell’agrifoglio. Invece il presepe è tipicamente cristiano – come vedremo in seguito, più in avanti. Ritornando, per un po’, a S. Lucia diciamo subito che la santa (la quale invocava S. Agata – conterranea ma non coeva – perché le guarisse la madre ammalata) dà il suo nome (toponimo) a molti quartieri di pescatori (quindi ha un forte legame con il mare e i porti) in tutta Italia. Compresa Napoli, che non fa dunque eccezione. Abbiamo qui, proprio a Napoli, zone e aree popolose e popolari a lei “dedicate” o (semplicemente) intitolate: S. Lucia; S. Lucia al Pallonetto eccetera. Molte canzoni tipiche lo ricordano. Pare che fosse la patrona dei pescatori, in particolare di quelli siciliani che, poi, emigrarono a Napoli per i loro commerci. Ricordiamo, per finire con la santa del 13 dicembre, che la notte tra il 12 e il 13 i bambini pongono dietro la finestra del fieno e/o dei biscotti o del latte. Infatti la tradizione vuole che S. Lucia giunga alle porte su di un asinello volante. Il quale mangia il fieno, lei invece assaggia il latte o i biscotti. E premia, così, i bambini con dei regali. Andando avanti, sempre sul Natale, cosa dire del presepe? C’è davvero moltissimo – da affermare, da narrare, da tramandare-trasmettere-tradire (donde il vocabolo “tradizione”). Soffermiamoci – per un po’ – sui presepi dell’entourage sanseverinese. Gli anni scorsi, la Valle Irno pullulava di queste bellissime e poetiche rappresentazioni: dappertutto, sparse per il comprensorio, sorgevano iniziative “dal vivo” (come a Spiano, a Costa e a Pandola di Mercato S. Severino, con il presepe vivente ripreso o “recuperato” di recente, grazie all’iniziativa dell’assessore alla Cultura Enza Cavaliere; l’idea è sorta negli anni ’70 e ’80, a cura di tanti cittadini… “di buona volontà” – sotto la guida di don Salvatore Guadagno, di Gino Noia e di altri entusiasti operatori). Con l’avvento del Coronavirus e delle sue varianti, ecco invece Madonna Sobrietà anche per queste tradizioni. Sempre a S. Severino, anche per il 2020, gli alacri presepisti della chiesa di S. Antonio al capoluogo hanno – imperterriti – contribuito alla realizzazione di un simulacro differente (ovviamente) da quelli soliti (non dal vivo) delle scorse edizioni; però ancora più significativo, frutto di sacrifici e di tanta pazienza. Stavolta, “complici” anche i lavori di restauro iniziati qualche mese fa e che stanno interessando la struttura della chiesa-convento francescano, il presepe non riguarda un percorso “da pellegrino”, con l’entrata dei visitatori attraverso il chiostro e dunque il “viaggio” all’interno della Natività; quest’anno il presepe è un po’ più piccolo ed è stato allestito frontalmente, per essere osservato “staticamente” (diciamo). Le rifiniture sono, però, sempre di ottima fattura, i pastori sono sempre quelli, preziosissimi, di fine ‘700 e/o ‘800; le casette dai mattoncini (laterizi) in materiale da riciclo (carta, cartone, polistirolo, legno, ferro…) stanno

sempre lì a testimoniare l’impegno e il genio, l’arguzia, l’inventiva dell’apposito gruppo. Presente anche su Facebook: il gruppo presepisti S. Antonio. Tutto è curato nei minimi particolari, con scorci interni davvero caratteristici e gli ambienti e l’atmosfera ancora più pregnanti, significativi. Insomma, ancora una volta, i “ragazzi” – guidati dai frati minori (francescani) ospitati nell’edificio – hanno svolto un egregio lavoro. Il presepe è stato inaugurato – come di consueto – l’8 dicembre (solennità dell’Immacolata) e sarà visitabile – sempre con le dovute precauzioni e in ottemperanza alle norme anti contagi – fino al 20 gennaio. Indicativamente, gli orari sono: dalle 17.30 alle 19.30, per i giorni feriali, e dalle 8.30 alle 12.30 del mattino, oltre che dalle 17.30 alle 19.30 – nel pomeriggio (giorni festivi). Sempre a S. Severino, ma nell’altra prestigiosa chiesa di S. Giovanni, ecco che la docente di Canto e di Pianoforte Elena Pironti ed altri validi collaboratori si sono prodigati per allestire il presepe – realizzato presso una cappella dell’edificio di culto sopra citato. Quest’anno “il tema” – se così si può affermare – ha verso sulla tristemente famosa epidemia di febbre, detta “Spagnola”. Una pandemia influenzale di livello planetario simile, per certi aspetti, al “nostro”, attuale Coronavirus da Sars Cov-2 (con presenza di polmonite interstiziale; invece la febbre “Spagnola” era, come detto, un’influenza molto persistente). Siamo quindi negli anni ‘20 del secolo scorso: il XX – detto “secolo breve” per la presenza di importanti scoperte scientifiche e per l’avvento della tecnologia che, poi, ha portato (anch’essa, ovviamente, tra molte altre concause, legate soprattutto al consumismo e all’individualismo sfrenato) alla cosiddetta “società liquida” del XXI secolo. Concetto teorizzato dal sociologo Zygmunt Bauman, deceduto nel 2017. Ritornando al presepe di S. Giovanni, altrettanto suggestivo rispetto a quello del convento di S. Antonio, i volontari che lo hanno approntato – sotto la guida della Pironti – hanno inteso attuare un parallelo, una similitudine con i tempi di adesso: come la temibile “Spagnola” decimò le popolazioni dell’intero pianeta (soprattutto, come sempre – purtroppo, i più poveri e disagiati; i meno abbienti) – costringendo i governanti a rivedere le priorità dell’esistenza – anche l’infezione legata al Covid ha causato troppe morti nei Paesi industrializzati e in quelli “in via di sviluppo”. Pertanto il significato del diorama, per il 2020, è l’esortazione a vivere da fratelli – rispettando le prescrizioni sanitarie e/o sociali (distanziamento, uso della mascherina facciale…). È anche (stato) un Natale di solidarietà, con mille e più iniziative – sia private che pubbliche, amministrative, statali – da parte di tantissimi professionisti che pullulano nel comprensorio nonché a livello nazionale ed internazionale. Per ciò che riguarda la piccola realtà di Mercato S. Severino, numerosi sono stati e/o continuano ad essere gli episodi di beneficienza propugnati dall’amministrazione e dai filantropi del territorio. I gesti di cura, attenzione, solidarietà, “carità” si sono moltiplicati e in molti – anche tra i cittadini – hanno offerto il proprio aiuto, la disponibilità, il tempo per dare una mano a chi – soprattutto adesso – è rimasto nel bisogno. Tra i molti esempi – anche a Baronissi e fuori da S. Severino e dalla Valle dell’Irno – ricordiamo le molteplici occasioni create dalla governance di S. Severino, come “Te la do io una mano”, a cura dell’Assessorato alle Attività Produttive e al Volontariato di S. Severino stessa – con il supporto dei valorosi “ragazzi” dell’Epi o Emergenza Pubblica Irno, già attivissimi nel corso della cosiddetta “prima ondata” di contagi. Si è trattato di un progetto, novembrino, di “spesa a domicilio” a cura di moltissimi esercizi commerciali della zona; soprattutto farmacie, macellerie, frutterie e panifici; negozi di alimentari “in rete”. Oppure come “Il paniere della solidarietà”, da parte del cosiddetto ed importantissimo “Terzo Settore” (solidarietà, appunto, per famiglie salernitane e… dintorni, in difficoltà e soprattutto nei confronti di diversamente abili o migranti che vivono in umili condizioni). Tutto questo grazie a “Rete Solidale” e/o all’impegno di “attivisti” (diciamo così) come Antonello Di Cerbo e sua moglie Carmen Guarino. L’iniziativa prevedeva, sin da fine ottobre, la consegna di prodotti tipici della gastronomia locale (tutti rigorosamente salernitani) ai più sfortunati. Ancora, più recentemente, abbiamo altre fattispecie di ausili “natalizi” e/o non (ma quando termineranno le festività, ci domandiamo incerte, cosa ne sarà di tanti nuclei familiari a rischio di assoluta povertà? Alle istituzioni e a “chi di dovere” la responsabilità di rispondere!). Tra Irno e dintorni, sempre a Mercato – oltre ai “buoni spesa Covid” erogati dal Comune, che si spera saranno estesi anche a periodi non “natalizi”, quando è meno facile essere “più generosi” – abbiamo le iniziative di molti sodalizi sanseverinesi. Ricordiamo il progetto “Dona un cesto”, a cura di sensibili imprenditori e commercianti dell’hinterland – assieme a “Le radici onlus” e alla Croce Rossa (Cri). Per una vera e propria “Città solidale”. A misura di meno abbienti, quindi. Sperando per molto tempo;

almeno finché le ataviche diseguaglianze saranno risanate o, quantomeno, colmate. Non dimentichiamo, poi, il progetto similare “Natale con il Sorriso”. Grazie al professionista Carmelo Cotini, a presiedere l’omonima (“Il sorriso”) associazione cinofila che opera nella cittadina da svariati anni, è stato possibile consegnare pacchi dono a famiglie in condizioni di vita precarie, a causa (anche) del crollo delle “sicurezze economiche” post Covid. Il tutto, in collaborazione con il “Csv Sodalis Salerno” – altra realtà molto sensibile e propositiva di Salerno e provincia. Non poteva, naturalmente, mancare – a dare il suo fattivo supporto, anche in questi tristi momenti – l’istituzione nazionale del Banco Alimentare. Con sede a Fisciano. Il sodalizio ha sempre sostenuto “il prossimo”, anche in tempi “normali” – ossia senza la presenza del virus nel mondo. E non si è smentito neppure stavolta: l’ente benefico, retto da Roberto Tuorto e da tanti altri responsabili, ha partecipato a “Condividere i bisogni, per condividere il senso della vita”. È un’ulteriore iniziativa “targata” Banco Alimentare, a coinvolgere circa settanta tra le famiglie in situazioni più “critiche” di S. Severino. In sinergia con il Comune di S. Severino. Il progetto coprirà tutto il 2021, mese per mese, dando così respiro (una boccata d’ossigeno) alle tante necessità di molti nuclei familiari che non navigano nell’oro. Davvero qualcosa da elogiare, riguardo le persone più mortificate nella società della frenesia e dell’indifferenza – che, prima della pandemia, era (sarà, nuovamente?) tutta volta al calcolo egoista e al mero interesse economico. E gli esempi di solidarietà, beneficenza, attenzione agli ultimi e agli emarginati potrebbero continuare per molto. Anche sui social. Un utente di Facebook, a titolo esemplificativo, ha proposto “il giocattolo sospeso” – derivante dall’antica e umana consuetudine partenopea del “caffè sospeso” – rivolto ai poveri che non potevano permettersi di sorseggiare la bevanda simbolo della napoletanità, di Partenope. Questa proposta è dedicata proprio ai bambini poveri, “disagiati” – o meno fortunati, stranieri… che non conoscono la serenità e l’incanto innocente del gioco. Incanto e innocenza che ci ricordano un altro “protagonista” del Natale napoletano: il presepe, o presepio. E qui ci sarebbe tantissimo da discutere, ma chi scrive si rende conto che il servizio è fin troppo lungo e cercherà di trattare un argomento (etnografico e antropologico) lunghissimo, misterico e poetico in breve. Affrontiamo, dunque, l’argomento presepe. Sul modello della mangiatoia di Betlemme (toponimo per “casa del pane” – in cui Gesù si fa proprio… Pane Angelico – nell’Eucarestia). Come lo conosciamo noi occidentali, il presepe è stato “creato” o per meglio dire: “riproposto” alla Cristianità (appunto) occidentale da S. Francesco d’Assisi. A Greccio, nel 1223. Greccio è un ameno borgo laziale, 1500 anime. Qui il “poverello”, il serafico padre Francesco, ricreò (con candore e poesia, malia) la scena della Natività. Ovviamente il primo presepe era vivente. Ma il presepe con pastori fissi “personalizzati”, per intenderci quelli fantasiosi ed attuali di via S. Gregorio Armeno (con le sue tantissime botteghe artigiane, colorate ed estroverse – sintomo dei guizzi di genialità del vivace popolo napoletano) è stato introdotto da S. Gaetano da Thiene, fondatore dell’Ordine dei Teatini. Questo santo, da Caietanus (abitante dell’antica Caieta – nutrice dell’eroe virgiliano Enea) – onorato il 7 agosto – è patrono della frazione sanseverinese Piazza del Galdo. Stringendo al massimo, dopo aver constatato che i diorami presepiali constano di rovine romane e colonne “classiche” divelte (mondo classico in preparazione di quello cristiano, affermava Dante Alighieri), ricordiamo almeno la figura stupefatta ma sognante del pastore addormentato: Benino, secondo alcune interpretazioni Beniamino. Che può significare o l’incredulità (il sonno della Fede) oppure la speranza, in quanto dorme tranquillo come se non temesse i colpi delle avverse fortune, delle sorti inclementi. Infine, una “puntatina” anche al bue e all’asinello che riscaldano – col loro fiato – il tenue corpicino di Gesù avvolto in fasce nella mangiatoia. Secondo alcune tesi, i due animali rappresenterebbero i giudei e/o i pagani. A seguire altre interpretazioni, invece, il bue (simbolo anche di S. Luca evangelista; S. Matteo ha, quale emblema, l’Uomo alato o l’angelo; S. Giovanni l’aquila o il gallo; S. Marco il leone) starebbe ad indicare l’uomo aggiogato: colui che crede alla nascita di Gesù e che accetta di assumere il suo giogo. Di converso, l’asino è l’uomo che non crede – “ignorante”, diciamo così; l’umanità “testarda” e/o ottusa come si credeva fosse (e invece l’asino è intelligente – oltre che paziente, mansueto, umile, utile) appunto il ciuchino. Anche se, ancora, nell’Antico e nel Nuovo Testamento ci sono vari episodi che “rendono onore” a questa dolcissima bestiola: quelli de l’asina di Balaam; dell’asino che porta la sacra famiglia a Betlemme; dell’asino che conduce il Cristo a Gerusalemme (e, dunque, alla morte di croce) e tanti altri. Concludiamo qui questa nostra lunga dissertazione, appena accennando al contest presepiale

indetto dalla Pro Loco Fiscianese in questi giorni di festività – verso l’Epifania (manifestazione dell’Epigono, del Principio Primo – donde “befana”, storpiatura appunto di Epifania). La Pro Loco – retta da Donato Aliberti – ha pubblicato sulla propria pagina Facebook tantissime fotografie di questo certame d’arte e di poesia. Dal primo al 20 dicembre, infatti, ha preso il via la XXXIII edizione della kermesse “Il presepio. Momento d’arte, centro del focolare domestico”. L’evento, ripreso da un concorso già “avviato” negli anni ’80 e ’90, è stato dedicato a tutti i cittadini di Fisciano – con le sue frazioni. La gente ha risposto volentieri – in massa. Si è trattato di dover tirare delle foto ai manufatti familiari e/o casalinghi (anche se al certame hanno aderito anche le chiese del Fiscianese) per poi veder pubblicate le immagini sul web – alla pagina Facebook della pro Loco Fiscianese – e ritrovare un senso spirituale ed aggregativo in questo 2020 anomalo e – per moltissimi – deludente. Perché Natale è sempre Natale. Anzi: forse questa volta v’è stata più sobrietà. Almeno per rispettare i tantissimi ammalati e le innumerevoli vittime della pandemia (alla fine, anche “infodemia” – neologismo coniato per esprimere la contraddittorietà delle informazioni – spesso fake news). Oltre a questa iniziativa, il sodalizio di Fisciano ha ideato anche “Balconi di Natale”. Entrambe le kermesse sono scadute a dicembre (dal primo al 20, il termine ultimo per presentare le immagini degli elaborati), ma ancora adesso si possono trovare le foto sui social sopra indicati. Anche “Balconi di Natale” ha riscosso un grande successo; la partecipazione popolare è visibile proprio su Facebook, dove addobbi e decorazioni sui balconi gridano al mondo parole di pace e di speranza. Per i bambini ma anche rivolte agli adulti, troppo spesso indifferenti; freddi; spenti; frenetici come il mondo che essi hanno modellato – a misura di marketing e di riscontri puramente, meramente economici. Senza più stupore, senza emozioni. Sordi ai lamenti e alle istanze; alle esigenze degli emarginati. Persone tagliate fuori dalla logica del profitto e della velocità – o voracità – di guadagno. Due le sezioni dedicate a “Balconi di Natale”: tema libero e “Riciclo e riuso”. Tentando fortemente di risvegliare l’intorpidita coscienza ecologica tanto invocata da papa Francesco.

ANNA MARIA NOIA

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