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Antoine de Saint-Exupéry aveva volato con una miriade di aerei diversi, biplani, monomotori e plurimotori, in tela e legno e di alluminio, ad abitacolo coperto e a cabina aperta, a carrello fisso e retrattile, quel giorno salì sul suo P38 Lightning dell’Armée de l’Air, l’aeronautica militare francese, che ne aveva ordinati 667 ma ne ricevette solo 143. Era un aereo straordinario, una piccola fusoliera in mezzo a due motori potentissimi di 12 cilindri disposti a “V”, con più di 1400 cavalli ciascuno, per 670 km orari circa di velocità massima, la possibilità di raggiungere e superare i 13.000 metri di quota, ed arrivava agevolmente a 3500 chilometri di autonomia; era potentemente armato con 4 mitragliatrici da 12,7 mm, un cannoncino da 20 mm e poteva trasportare fino a 1000 kg circa di bombe. Ma Antoine de Saint-Exupéry si era sempre rifiutato di volare su aeroplani armati, se aveva fatto ciò era avvenuto solo per motivi di addestramento, obbligatorio per l’avanzamento di carriera, ed era giunto al grado di commandant (maggiore). Quel 31 luglio 1944, infatti, si trovava su un P38 da ricognizione, senza armamento e senza congegni di puntamento, proprio per renderlo più veloce e farlo sottrarre ad eventuali attacchi, al posto delle armi una macchina fotografica ad alta risoluzione e ad angolatura differenziata, per fotografare e non per sparare. Ma l’aereo su cui volava lo scrittore francese era stranamente noto anche ai nostri nonni ed ai nostri bisnonni, che gli avevano affibbiato un nomignolo, lo chiamavano ‘u roicore, il due code. Ed infatti, il Lockheed P38 Lightining, che vuol dire “fulmine”, era a doppia trave di coda, cioè, per capirci, aveva davvero due code che si dipartivano dalle ali e non dalla fusoliera, e quando lo si guardava dal basso appariva davvero non a “T”, come tutti gli altri aeroplani, ma a doppia “T”. Le nostre popolazioni avevano imparato a conoscerlo bene soprattutto dopo lo sbarco in Sicilia, operazione Husky, era stato utilizzato non per bombardamenti a tappeto, ma per obiettivi che si delineavano lì per lì alla vista dei piloti, seppur situati in determinate aree, tutto era lasciato alla decisione più che del capo formazione, dei singoli piloti, individuare i potenziali bersagli, decidere da quale direzione attaccare e, nel caso de ‘u roicore, picchiare, colpire e, cosa non da poco, cabrare per sfuggire alla contraerea. Tutto diventò più intenso e drammatico in vista dello sbarco a Salerno, gli aerei effettuarono più di 9.000 sortite durante i primi nove giorni dell’invasione. Oltre 5.000 di questi si sono verificati in tre giorni, 14, 15 e 16 settembre, ma si continuò intensamente anche nei giorni successivi. Durante questo periodo, più di 1.000 tonnellate di bombe vennero sganciate quotidianamente su un’area entro un raggio di 25 chilometri da Salerno, Battipaglia ed Eboli. Tutti i reparti aerei erano stanziati in Sicilia e in Nord Africa, ad eccezione di uno squadrone di cacciabombardieri, che iniziò ad operare dall’aeroporto di Paestum il 16 settembre. Solo quel giorno, questo squadrone effettuò 46 missioni e 301 sortite di ricognizione e bombardamento, colpendo incroci stradali, binari e stazioni ferroviarie, città, veicoli nemici e presunti punti di forza, per tornare in Sicilia prima del calare della notte. Nella zona fu particolarmente attivo il 1st Fighter Group (brigata aerea) dell’USAAF (aviazione militare dell’esercito americano), che operava con tre Squadron (stormi), il 27°, il 71° e il 94°. Proprio il 16 settembre, i tedeschi si resero conto che il loro ultimo contrattacco sferrato si stava infrangendo sul fronte della testa di ponte alleata, che ormai andava consolidandosi, anche grazie al preciso e martellante cannoneggiamento navale e agli incessanti bombardamenti aerei che ormai atterrivano le forze naziste, tutto ciò che era o poteva sembrare minaccia veniva colpito dal mare o dall’alto. Anche un reparto della famigerata Panzer Division “Hermann Goering” (unità che si macchierà dei peggiori crimini di guerra in Italia, con circa 1000 civili trucidati nelle sole operazioni antipartigiane sull’Appennino), comandato dal colonnello Wilhelm Schmalz, venne bloccato nei pressi di Cava dei Tirreni. Era ora di ritirarsi e i tedeschi l’avevano capito. La mattina del 17 settembre, cinque formazioni di P38 partirono di nuovo alla volta del teatro di operazioni, due di esse erano formate da 12 aerei ciascuna, due da 14 ed una da 13 aerei, per un totale di 65 cacciabombardieri, 65 piloti addestrati a scrutare il terreno alla ricerca di obiettivi da colpire, come recita il report ufficiale del 1st Fighter Group: “flown today to dive bomb targets of opportunity in Italy”, ”hanno volato oggi per bombardare obbiettivi di opportunità in Italia”. Una squadriglia di almeno 12 aerei giunse nei pressi di Campagna, che in quel preciso momento divenne “target of opportunity”. Attaccarono da nord-est, l’alba settembrina era ancora forte e accecante, non potevano prendersi il lusso di procedere controsole, le gole tra le splendide montagne di Campagna sarebbero state fatali per loro, nessun pilota si sarebbe arrischiato, nemmeno il più bravo. La picchiata fu difficile, il paesino del sud era proprio in mezzo e in fondo ai rilievi, che si ergevano minacciosi, e giù, una, due, tre, quattro, cinque… 21 bombe da 500 libbre (227 chili circa) e, purtroppo, una da 1000 libbre (più di 453 chili). I passaggi furono non più di due, dopo lo sgancio bisognava ridare tutta manetta, le montagne erano sempre lì, facevano più paura della Fliegerabwehrkanonen, la flak, contraerea tedesca, meglio un proiettile che impattare sulla montagna, e poi il carburante, doveva servire anche per rientrare alla base. I roicore si allontanarono verso sud, ben illuminati dal sole ormai alto. Il “duty fighter bomber”, a pagina 2 di 5 riporta: “Campagna, Sept. 17, TONS 5.75; LOSSES – ; DAMAGED –“, “Campagna, 17 Settembre, 5.75 tonnellate di bombe, perdite nessuna, aerei danneggiati nessuno”. Ma Campagna, nell’insieme del suo territorio, era stata colpita già altre due volte, e pesantemente: il 14 settembre, con 11 bombe da 1000 libbre, ed il 15 settembre, con 9 bombe da 500 libbre, per un totale, compreso il bombardamento del 17 settembre, di 13.5 tonnellate di bombe. Una quantità enorme, soprattutto se si considera che nello stesso periodo S. Giuseppe Vesuviano è stato colpito meno pesantemente, con 11 tonnellate di bombe, anche se era obiettivo molto più rilevante dal punto di vista tattico-strategico. Un sentito grazie a Mr. Arcangelo Di Fante, primo archivista dell’Air Force Historical Research AgencyDepartment of Air Force, presso la Maxwell Air Force Base, Alabama. Quel 31 luglio del ’44 Antoine de Saint-Exupéry non tornò più dalla sua ricognizione aerea, per molto tempo non si seppe più nulla, fino a quando nel 2000 venne ritrovato, al largo di Marsiglia, il suo braccialetto e, il 7 aprile del 2004, i resti del suo aereo, che era ‘u roicore. Così come non tornarono i 177 morti del bombardamento di Campagna, anche se presenti nella nostra memoria semantica, con il loro silenzio, con il dolore delle loro famiglie, non lasciamone cadere l’impalpabile ricordo. “Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia”, così  Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe.

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