Jeff Bezos sposerà oggi Lauren Sánchez a Venezia. Fin qui, una notizia mondana come tante. Ma la portata dell’evento è tale da far discutere non solo per il gossip, ma soprattutto per le implicazioni sociali e culturali. Perché quando uno degli uomini più ricchi del mondo decide di festeggiare il proprio matrimonio in una delle città più fragili – e simboliche – del pianeta, non è solo una festa: è un messaggio.
Per tre giorni Venezia è diventata una “zona rossa” del lusso. Barche private, yacht da sogno, un fiume di abiti firmati e sicurezza ai massimi livelli. Tra gli ospiti: Elon Musk, Oprah Winfrey, le Kardashian, DiCaprio, Tom Brady. Un red carpet galleggiante, insomma. Le calli transennate, la gente del posto invitata – involontariamente – a stare alla larga. Come se la città non appartenesse più a chi ci vive, ma fosse temporaneamente affittata da chi può permetterselo.
Ed è proprio questo che ha fatto infuriare tanti veneziani. Non tanto l’evento in sé, quanto il simbolo che rappresenta: la trasformazione definitiva di Venezia in una vetrina per l’élite globale. Una città-paesaggio, bella da vedere, ma sempre meno vivibile. Alcuni attivisti hanno manifestato con striscioni: “No Space for Bezos”, “Venezia non è in vendita”, “If you can rent a city, you don’t deserve it”. Parole forti, ma non campate per aria.

Il punto non è solo ideologico. C’è un problema pratico: i residenti sono costretti a convivere con un turismo che spesso esclude, che ingolfa le strade, fa lievitare i prezzi, svuota i quartieri. E ora, perfino il giorno del tuo matrimonio può essere trasformato in un evento globale, con tanto di drone show sul Canal Grande.
I difensori dell’evento – tra cui il sindaco e il presidente della regione – parlano di visibilità e ricadute economiche. Dicono che Venezia ha bisogno di eventi di questo calibro per restare viva, per attrarre investimenti. E in effetti, Bezos ha donato alcuni milioni a progetti ambientali locali. Ma bastano queste mosse, per quanto benvenute, a bilanciare il danno simbolico? A dare l’impressione che ci sia un reale rispetto per la città?
Il rischio è che tutto diventi “normalizzato”: Venezia come Disneyland del lusso, dove si arriva, si consuma bellezza, e si riparte – lasciando alle spalle una città svuotata, stanca, che lotta per restare viva e autentica.
Forse la domanda vera è questa:
Può esistere un equilibrio tra il fascino internazionale di Venezia e il diritto dei suoi cittadini a vivere in una città che non sia solo uno sfondo per i ricchi del mondo?
Il matrimonio di Bezos ha acceso i riflettori, sì, ma ha anche mostrato tutte le ombre di una città che rischia di diventare il simbolo dell’eccesso, della disuguaglianza e dell’appropriazione culturale.